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5 per mille

L’impegno di Missioni Don Bosco per il futuro dei giovani del Congo

di Rossana Certini

I missionari salesiani sono presenti in 136 Paesi, dove portano avanti il sogno di don Bosco: parlare al cuore dei giovani, per aiutarli a costruirsi un futuro. I progetti nascono sempre dai missionari, che vivono insieme alla popolazione locale e ne conosce i bisogni. In Repubblica Democratica del Congo, per esempio, si lavora per togliere i ragazzini dalla strada e per realizzare un campus che accolga un centinaio di studenti.

«Non possiamo pensare al nostro futuro senza prenderci cura anche di quello di tutte le persone che vivono nel mondo, a cominciare dai bambini e dai ragazzi in condizione di vulnerabilità. Prima ce ne renderemo conto e prima riusciremo a costruire basi solide per il domani del mondo». A dirlo è Marcella Mantovani, responsabile del dipartimento progetti di Missioni Don Bosco, l’ente attivo dal 1991 per accompagnare il lavoro dei missionari salesiani nei Paesi del Sud del mondo, dedicandosi in particolare a istruzione e formazione professionale. Insieme ai missionari portano avanti il sogno di don Bosco: stare al fianco dei giovani che, a causa della povertà economica, sociale e culturale, non hanno la possibilità di costruirsi un futuro. In questi anni milioni di ragazzi, in 136 Paesi del mondo, sono stati aiutati a crescere.

«I progetti che realizziamo sono sempre proposti dai missionari, perché sono loro che vivono sulla propria pelle, insieme ai ragazzi, le situazioni concrete, con tutte le difficoltà. Vivendo lì, conoscono perfettamente i bisogni del territorio», spiega Mantovani. «Missioni Don Bosco è al loro fianco attraverso il sostegno economico. Ci piace definirci come “l’officina dei progetti”. In media con le raccolte fondi finanziamo circa 150 progetti all’anno: possono essere interventi piccoli, come la realizzazione di un pozzo comunitario o più grandi, come la ristrutturazione di una scuola. Direi che il 10% di questi progetti viene realizzato grazie alla raccolta del 5 per mille. L’obiettivo è quello di accompagnare le comunità locali in difficoltà a trovare una loro autonomia e nello stesso tempo dare un’educazione ai ragazzi, prendendoli per mano».

I progetti che realizziamo sono sempre proposti dai missionari, perché loro – vivendo insieme ai ragazzi – conoscono benissimo le situazioni concrete, le difficoltà e i bisogni. Ci piace definirci come “l’officina dei progetti”

Marcella Mantovani, responsabile progetti di Missioni Don Bosco

Goma e il sogno di un collegio per gli studenti

Nella città di Goma, nella parte orientale della Repubblica Democratica del Congo, i missionari salesiani stanno realizzando l’ampliamento dell’Istituto tecnico industriale, una delle prime scuole secondarie tecniche della città. Si trova in un quartiere popolare e periferico dove la maggioranza della popolazione vive in condizioni di povertà, al confine con il Rwanda. Conta 26 classi con più di 900 allievi all’anno, di età compresa tra gli 11 e i 18 anni. Molti ragazzi per arrivare a scuola devono attraversare zone sotto il controllo di violenti gruppi armati: per questo i missionari hanno deciso realizzare un collegio interno alla scuola, in grado di accogliere circa 100 studenti che potranno, così, evitare di rischiare la vita spostandosi ogni giorno.

Centro Don Bosco Ngangi, Goma, Repubblica Democratica del Congo (foto Missioni Don Bosco)

Tanti i ragazzi aiutati in questi anni di missione a Goma. Tra loro c’è Safari, 17 anni: vive in strada, è incinta di poco più di sei mesi quando viene arrestata dalla polizia durante una delle operazioni di “evacuazione” dei bambini. Sono vere e proprie “retate” che causano l’arresto di decine di minori che vivono in strada: non per educarli ma solo per ripulire le strade. Bambini e adolescenti infatti vengono poi condotti in prigione, insieme agli adulti. È qui che i salesiani incrociano la vita di Safari. Grazie a una mediazione tra il Centro Don Bosco Ngangi e il Tribunale dei minori di Goma, lei, insieme a tanti altri bambini, è stata presa in carico dalla Maison Marguerite. Qui mette al mondo il suo bimbo e beneficia dei servizi di accoglienza, supporto medico e psico-sociale dell’équipe del Centro. Safari ricomincia a studiare, seguendo un corso di formazione professionale di cucina.

Accanto alle scuole e ai centri di formazione professionale, i missionari accompagnano la crescita delle bambine e dei bambini in quasi 2.500 oratori. I ragazzi hanno giocano a calcio, frequentano laboratori di artigianato, stanno lontano dalle strade. Sono una vera e propria fucina di talenti

Sono quasi 4.500 le scuole e centri di formazione professionale sostenuti da Missioni Don Bosco, che accompagnano il cammino di crescita delle bambine e dei bambini. Un lavoro che prosegue in quasi 2.500 oratori, luoghi di incontro in cui si diventa grandi attraverso la condivisione, il rispetto reciproco e l’accoglienza. Spiega Mantovani: «Qui i ragazzi si ritrovano dopo la scuola e hanno la possibilità di giocare nei campi da calcio, frequentare laboratori di artigianato e stare lontano dalle strade. Spesso sono una vera e propria fucina di talenti».

L’Opera Mamma Margherita per i bambini di strada

“Shégués”, vagabondi. È questo il nomignolo affibbiato ai bambini e ai ragazzi che vivono in strada a Lubumbashi, sempre nella Repubblica Democratica del Congo. Qui i missionari gestiscono l’Opera Mamma Margherita, una rete di case di accoglienza per bambini provenienti da famiglie disagiate. Si tratta di 14 centri dove vengono accolti ogni anno tra i 750 e i mille giovani, più altri 500 ragazzi che frequentano le case ma non vivono al loro interno. I salesiani e gli operatori ogni sera percorrono le strade della città, una per una, per cercare i ragazzi che vivono soli e ai margini. Li avvicinano, cercano di instaurare con loro un rapporto di fiducia e di parlargli delle conseguenze che potrebbero affrontare continuando con la vita in strada. Offrono loro la possibilità di andare volontariamente in uno dei centri d’accoglienza.

Padre Eric Meert, Lubumbashi, Repubblica Demoratica del Congo (foto Missioni Don Bosco)

Il salesiano Simeon, motore delle notti in strada alla ricerca dei ragazzi, racconta: «Attorno alle 23 arrivano nei luoghi dove dormono, prima cercano qualche lavoretto da fare, spostano le loro cose e cercano da mangiare. Una volta finite queste attività tornano negli angoli della strada dove dormono. Quando arrivano, noi siamo lì ad aspettarli. La vita sulla strada è molto dura. Per prima cosa a questi bambini manca una casa. Trovano difficilmente da mangiare. Dormono tutti attaccati per proteggersi dal freddo perché non hanno nulla e quando piove è un vero calvario».

Il marchio di essere stregoni

I missionari lavorano per entrare in contatto con le famiglie dei ragazzi e cercare di riallacciare i rapporti. Spesso sono proprio i genitori a mandarli sulla strada per guadagnare qualcosa a contribuire a sfamare la famiglia. Alcuni di loro a un certo punto scelgono di non tornare più in famiglia, tenersi i soldi e vivere alla giornata per strada.

Opera Mamma Margherita, Lubumbashi, Repubblica Demoratica del Congo (foto Missioni Don Bosco)

Patient per esempio ha 26 anni, ha lasciato la sua famiglia quando sua mamma è morta. Aveva solo 13 anni all’epoca, sua nonna non faceva altro che ripetergli che lui era uno stregone. Basta poco per vedersi affibbiato questa etichetta: basta essere un bambino che fa la pipì a letto o che si ribella al fatto che la madre si prostituisca. «Spesso sono “stregoni economici”», spiega il salesiano Simeon, «perché quando c’è una difficoltà economica, le famiglie che non possono mantenere i figli “per sbarazzarsene” li additano come stregoni». Questi bambini finiscono per strada, dove subiscono violenza, vengono derubati del po’ che hanno e possono essere esposti a situazioni dannose o tentati dall’uso di sostanze stupefacenti.

I missionari di Don Bosco, per evitare che si crei un rapporto di dipendenza, inizialmente incontrano i ragazzi in strada, ci parlano, li ascoltano e attendono che siano loro stessi a decidere autonomamente di avvicinarsi alle case salesiane e lasciare la vita di strada. Con questi ragazzi i missionari parlano la lingua del cuore. Come diceva Don Bosco: «Bisogna arrivare al cuore».

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