Alessandra Sciurba

Nel Mediterraneo sulla rotta dell’umanità per Salvarsi Insieme

di Alessandro Puglia

Salvarsi Insieme è il titolo del libro della presidente di Mediterranea Saving Humans che racconta la sesta missione a bordo del veliero Alex avvenuta a luglio 2019. Davanti a politiche disumane che criminalizzano le Ong e dove i governi europei fanno a gara a stravolgere "quella meravigliosa legge del mare", la Sciurba testimone di violazioni di diritti umani e respingimenti da parte di una fantomatica guardia costiera libica fa salire a bordo il lettore navigando tra le pagine sull'unica rotta ancora possibile e praticabile: "Perché ci si salva solo insieme"

Ci sono libri che diventano necessari per capire meglio il presente, come Salvarsi Insieme (Ponte Alle Grazie,2020) di Alessandra Sciurba, oggi Presidente di Mediterranea Saving Humans, la piattaforma della società civile che è di nuovo in mare con la Mare Jonio alla sua ottava missione per soccorrere uomini, donne e bambini in fuga dall’inferno libico e per denunciare quanto con la complicità dei governi europei avviene nel Mar Mediterraneo. Salvarsi Insieme è il racconto della missione numero sei di Mediterranea, a bordo del veliero Alex, 18 metri in cui si intrecciano le storie di chi è stato salvato da una morte certa a politiche disumane che creano divisioni, odi, incapacità di aprire gli occhi e vedere cosa sta succedendo in quella grande fetta di mare che riguarda ognuno di noi. Perché è in quella filmica zona Sar che continuano ad avvenire i respingimenti, l’ultimo documentato pochi giorni fa da Mediterranea, da parte dei guardacoste libiche a bordo di navi militari donate dall’Italia. Le pagine di Alessandra Sciurba portano il lettore a bordo di un veliero dalle gigantesche ali bianche simili a quelle dell’Albatro di Baudelaire facendoci navigare sull’unica rotta possibile e praticabile, quella dell’umanità. Pochi giorni fa sulla spiaggia di Sorman in Libia è stato ritrovato il corpo di una bambina di quattro mesi avvolto nel suo pigiamino in cui era disegnato un coniglietto aviatore. Era tra le vittime dell’ultimo naufragio avvenuto sabato 13 giugno. Davanti a questo dolore ci vengono incontro, ancora una volta come a Lampedusa nel 2013, le parole di Papa Francesco pronunciate a marzo di quest’anno durante la sua storica omelia in tempi di pandemia: «Nessuno si salva da solo. Su questa barca ci siamo tutti».

È trascorso quasi un anno da quel 6 luglio 2019 quando il veliero Alex con il suo carico di vite umane strappate alle mani della cosiddetta guardia costiera libica entrava in porto a Lampedusa, con un gesto che sulla scia di quanto era avvenuto qualche giorno prima con Carola Rackete ribadiva che non ci sono porti chiusi per l’umanità e che bisogna Salvarsi Insieme. Com’è nata l’idea di scrivere questo libro?

«Penso che questo libro fosse già lì nel momento in cui siamo finalmente sbarcati, dopo 48 ore costretti in mezzo al mare e altre nove “sequestrati” sulla nostra barca ridossata alla banchina, a Lampedusa, senza il permesso di scendere. Non ho aggiunto una virgola alla realtà di quello che è stato, anche se leggendo come si sono svolti gli eventi può sembrare incredibile. È come se la storia che abbiamo vissuto abbia deciso lei stessa di essere raccontata. Appena è arrivato il primo minuto di solitudine, ho respirato e lasciato che scorresse fuori, per come si era svolta, fermando quell’incontro che ci ha cambiato la vita, che ci ha fatto sentire come, anche nell’assurdità di questo mondo ribaltato che chiude le porte in faccia a chi chiede solo dignità e rispetto, c’è qualcosa di meraviglioso nella nostra comune umanità, qualcosa di semplice, che in fondo sono certa chiunque possa ritrovare dentro di sé. Ho scritto questo libro sperando che possa essere di aiuto a liberare un po’ di spazio interiore dalla propaganda urlata, da tutta la violenza introiettata, anche dalla retorica cinica che contrappone un finto “realismo” a chi, trattato sempre da ingenuo, si ostina a continuare a parlare di diritti e di solidarietà. Oggi si prova quasi vergogna a sperare che le cose possano essere diverse, a provare tenerezza per la nostra comune condizione umana. E privandosi di questi pensieri e di queste emozioni si rinuncia anche alla bellezza. I fattori esterni che ci hanno fatto ritrovare in mezzo al mare a soccorrere dei profughi di guerra che le scelte politiche italiane ed europee avevano obbligato a diventare naufraghi nelle mani dei trafficanti, non hanno nulla di naturale, sono frutto del peggiore cinismo della realpolitik. Ma la storia che racconto è davvero semplice: è la storia di 70 persone che si sono fidate e prese cura l’una dell’altra, che hanno scelto una rotta e l’hanno seguita, che si sono riconosciute come simili e vicine, che si sono salvate a vicenda. Spero tanto che chi la leggerà potrà capire meglio cosa succede in quel mare, ma anche chi siamo noi, chi sono le persone che incontriamo, perché siamo lì, perché ci saremo, anche nostro malgrado, finché ce ne sarà bisogno. E poi spero che semplicemente possa abbandonarsi al racconto, sentirsi a bordo di quella barca, volerle bene, sperare in un lieto fine».

La scelta di navigare con una barca a vela di 18 metri è avvenuta dopo che la vostra nave, la Mare Jonio, era stata messa sotto sequestro in linea con il Decreto Sicurezza Bis dell’ex ministro dell’interno Matteo Salvini e di fronte a un’azione generale di criminalizzazione nei confronti delle Ong. Ma la storia che racconti, “la barca a vela sulla rotta dell’umanità”, sembra volerci dire che di fronte a cattiverie gratuite che hanno le sembianze di carte ministeriali o provvedimenti giudiziari c’è una legge ascritta e ancestrale declinata in Convenzioni interazionali che non lascia dubbi interpretativi. Salvarsi insieme è quello che ci dice anche la legge del mare?

«La legge del mare è una legge meravigliosa, che mette sempre al primo posto la vita delle persone, che interpreta la “sicurezza” non in chiave difensiva ma di responsabilità reciproca, perché nessuno si trovi mai abbandonato e solo. I governi europei fanno a gara a stravolgerla, a violarla, a strumentalizzarla. Lo stesso decreto che citi la usa male, quando si spinge a considerare il passaggio delle navi della società civile che hanno soccorso delle persone in mare come un “passaggio non inoffensivo”. Il diritto internazionale del mare è profondamente legato al diritto internazionale dei diritti umani, e la nozione di “porto sicuro” è il punto esatto in cui i due diritti si fondono insieme, perché le operazioni di soccorso sono concluse solo quando le persone sono sbarcate in un luogo in cui la loro vita e i loro diritti fondamentali non siano a rischio. Per avere rispettato questa legge siamo stati sequestrati, multati, tenuti per giorni fuori dalle acque territoriali del nostro paese, e alcuni di noi sono ancora indagati. Ma al di là dell’accanimento nei nostri confronti, queste scelte politiche rappresentano un pericolo molto maggiore. Spingono all’omissione di soccorso, nel migliore dei casi, e nel peggiore arrivano a finanziare i respingimenti in Libia e le torture e gli stupri che avvengono poi in quel paese ai danni dei respinti. E poi abituano l’opinione pubblica al fatto che le vite possano non contare nulla, che non ci sia limite all’arbitrio politico, che in nome di fini politici propagandistici si possano calpestare i nostri valori costituzionali e i principi sanciti come dei “mai più” agli orrori del nazifascismo. Tutto questo è pericolosissimo: davvero pensiamo che questa violenza del potere possa arrestarsi al mare e non travolgere anche la terraferma? Davvero pensiamo che si possano calpestare le vite e i diritti di alcuni senza rendere più fragili le vite e i diritti di tutti? Anche in questo senso, ci si salva solo insieme, e soccorrere nel Mediterraneo oggi significa provare a difendere la possibilità di un futuro diverso».

Soprattutto se a bordo ci sono skipper di professione come il comandante Tommaso Stella o il velista Aimaro Malingri?

«Mediterranea è nata ed è cresciuta grazie al contributo di volontari straordinari che hanno messo le loro competenze a servizio delle nostre missioni. Velisti professionisti come Tommaso o Aimaro, tra i protagonisti di questo libro, e poi medici, infermieri, avvocati, esperti di comunicazione. Tutte e tutti a costruire questa comunità fondata sul valore delle nostre differenze e sulla forza del nostro obiettivo comune. Mentre nel libro racconto istante dopo istante la storia che abbiamo vissuto in quei giorni di luglio, qui e lì ho provato a raccontare anche cosa è Mediterranea, e come sia stato possibile trasformare quello che era solo un desiderio, un moto interiore, la necessità insopprimibile di arrivare dove era necessario essere, in una realtà che oggi è alla sua ottava missione e conta equipaggi di terra dalla Tunisia agli Stati Uniti, da Bruxelles a Barcellona».

Viaggiando con la forza del racconto il lettore si ritrova a bordo di un veliero con le ali bianche in quella che doveva essere inizialmente una missione di monitoraggio, ma che poi diventa necessariamente di soccorso. Tra quelle 59 persone salvate ci sono i volti e le storie di uomini, donne, una di loro è incinta, e bambini a cui non fate mancare un sorriso come quando con il vostro equipaggio vi mettete a gonfiare quei guanti in lattice che diventano delle palle con le dita. Cosa hai provato in quei momenti?

«Mi sono sentita fortunata, tanto fortunata. In pace con me stessa come mai prima. Ho pensato che ogni istante della mia vita precedente mi avesse portato a quei momenti, e mentre guardavo negli occhi il resto dell’equipaggio sapevo che stavamo provando tutte e tutti la stessa cosa. Davvero eravamo in volo, anche quando ci siamo ritrovati i libici di fronte, in mezzo a quel mare in cui eravamo così fragili, anche quando avevamo fame e non sapevamo cosa il governo italiano avrebbe fatto di noi, anche quando, arrivati in porto, alcune persone ci urlavano addosso gli insulti peggiori, mentre un esercito di uomini in divisa ci dava ordini assolutamente incompatibili col nostro stato di diritto. Ci siamo tenuti forte l’uno all’altra, tra un’alba che mozzava il fiato e un bambino che comunque resta sempre un bambino, anche se ha un numero addosso perché viene da un campo di concentramento libico, e ti sorride».

Ad un certo punto nel racconto, quando vi trovavate ormai da troppe ore parcheggiati di fronte al porto di Lampedusa, una barca misteriosa senza essere annunciata si avvicina per portarvi cibo e altri beni di prima necessità. Scrivi che si tratta di una distribuzione “diversa”, dove “non ci sono formalità, ma solamente qualcuno che sta aiutando qualcun altro perché ha pensato che andasse fatto”. E aggiungi: “Di nuovo il mondo capovolto: dovere tenere nascosto un gesto di umanità così elementare, per proteggere chi lo ha compiuto fuori dagli ordini ricevuti”. Oggi, a storia raccontata per intero, come tu scrivi, puoi dirci chi è stato il mandante di quel “reato” di pietas cristiana?

«Non posso perché non lo so esattamente chi fosse il “mandante”. So che erano uomini in divisa, uomini di mare, uomini delle forze militari italiane, che hanno semplicemente fatto quello che per loro era giusto, quello che sentivano di fare. La politica istituzionale ha creato molte di queste situazioni paradossali, obbligando persone che avevano compiuto delle scelte precise a tradirle. Quella notte è avvenuto un piccolo atto di ribellione e di amore, che per un attimo ha buttato giù i confini tra chi sta da una parte e chi sta dall’altra, in nome di valori superiori. Come quando i poliziotti negli USA si sono tolti i caschi e si sono uniti alle persone che manifestavano contro un’ingiustizia insopportabile. Questo coraggio potrebbe cambiare le cose, ma è troppo circoscritto e contingente, purtroppo».

Anche al veliero Alex, così come a Mare Jonio, è toccato dopo lo sbarco a Lampedusa lo stesso trattamento. Sequestro dell’imbarcazione, capitano ed equipaggio indagati. Dopo mesi di fermo e la pausa dovuta alla pandemia che non ha arrestato le partenze né tantomeno gli sbarchi, i vostri due gioielli navali sono “tornati in libertà” e la Mare Jonio è finalmente dove deve stare, nel mezzo del Mediterraneo centrale per salvare vite umane. Cosa dovremmo aspettarci quest’estate davanti alle ulteriori chiusure dell’Europa e dell’Italia post Covid-19?

«Purtroppo lo stiamo già vedendo: il Mediterraneo è ancora più di prima teatro di morte e violenza decisa a tavolino dall’Italia e dall’Europa. Siamo appena stati testimoni, da bordo della nostra Mare Jonio, dell’ennesima cattura di persone inermi, in fuga dall’inferno libico, da parte di milizie libiche arrivate su motovedette donate dall’Italia e probabilmente guidate a distanza dagli aerei europei di Frontex. Io so che un giorno la Storia racconterà di come milioni di euro siano stati dati a delinquenti senza scrupoli, come Bija ancora a capo della cosiddetta guardia costiera libica nonostante l’Onu stessa lo definisca formalmente un criminale, per portare alla tortura se non alla morte migliaia di innocenti. Ma adesso sembra che non ci siano limiti a questo orrore. Abbiamo sperato che la pandemia ci portasse a percepire la fragilità come comune e trasversale condizione del nostro essere umani, che banalmente ci rendesse almeno un po’ migliori, meno incattiviti, che ci facesse capire, come ha detto anche Papa Francesco, che nessuno si salva da solo, e siamo tutti sulla stessa barca. Non posso ancora dire, nessuno può farlo, cosa resterà di questo periodo così surreale. Ci sono segnali forti e incoraggianti, come il grande movimento di protesta che ha attraversato il mondo dopo l’omicidio di George Floyd per affermare che tutte le vite contano. Ma ci sono anche i nuovi finanziamenti alla Libia contro cui nessuno sta protestando, mentre i governi continuano a usare le migrazioni per separare le popolazioni e distrarre le persone dalle vere cause del loro legittimo malessere: le diseguaglianze, la corruzione, lo sperpero di denaro pubblico, la miopia, l’egoismo, la mancanza di coraggio e di ideali di chi governa».

E tu con Mediterranea come continuerai a navigare sulle rotte dell’umanità?

«Ad oggi ho il grande onore, e anche l’onere, di essere Presidente di Mediterranea Saving Humans. Ma sono semplicemente a servizio, e temporaneamente, di questa grande missione collettiva che vive dell’apporto di migliaia di persone diverse che si sono riconosciute e hanno deciso di navigare insieme. Non è facile conciliare il lavoro e la vita quotidiana con un impegno così importante, ma ce la mettiamo tutta, e lo faremo finché servirà. Oltre a tutto il resto, dobbiamo continuamente affrontare grandi difficoltà economiche, perché i costi delle nostre missioni sono altissimi, e riusciamo ad andare avanti solo grazie al supporto delle persone comuni, persone come noi, che ci sostengono come possono. Ma non possiamo fermarci».

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