Culle vuote, aule vuote, giovani con sempre meno peso elettorale: in un momento in cui l’impatto sul futuro delle scelte presenti è maggiore che in passato. Alessandro Rosina, ordinario di Demografia e Statistica sociale nella Facoltà di Economia dell’Università Cattolica di Milano, da tempo e politiche familiari non possono essere solo politiche di contrasto alla povertà, oltre a lanciare ripetutamente l'allarme sul progressivo e preoccupante calo della natalità in Italia, fa proposte incentrate sul fatto che le politiche per la famiglia sono parte centrale delle politiche di sviluppo: sostenere le scelte virtuose di giovani e famiglie, aiuterebbe il paese a ridurre gli squilibri e a crescere.
La politica parla finalmente di un family act, citando più asili nido, estensione del congedo di paternità, assegno unico: quello che ha sentito finora, tecnicamente, la convince?
L’Italia è uno dei paesi con più persistente bassa fecondità al mondo. Oltre a non essersi risollevata dai bassi livelli raggiunti, ha subito un ulteriore peggioramento durante la crisi economica. Inoltre, dopo l’uscita dagli anni più acuti della recessione, non si vede nessun recupero. Siamo però nel frattempo entrati in una fase che frena ulteriormente la ripresa delle nascite, perché la denatalità passata sta ora riducendo le donne che entrano in età riproduttiva. Se quindi si lasciano le cose come stanno o si mettono in atto solo le solite misure estemporanee con risorse limitate, gli squilibri demografici sono destinati a peggiorare e a presentare un conto sempre più salato nei prossimi anni. Quello di cui abbiamo bisogno è ridare fiducia ai giovani, stimolo alla formazione di nuove coppie, sostegno solido a chi decide di avere un figlio. Servono politiche che favoriscano un impegno di lunga durata. Congedo di paternità, potenziamento dei nidi e assegno unico vanno in questa direzione. Oltre che utili in sé, contribuiscono anche ad un importante cambiamento culturale. L’arrivo di un figlio in Italia ha un impatto soprattutto sul tempo delle madri e sui costi delle famiglie, mentre deve coinvolgere come benessere relazionale tutta la coppia ed essere riconosciuto come valore sociale che aiuta a rendere più solido il futuro comune. Ma per superare davvero i limiti delle politiche familiari insoddisfacenti del passato, serve un impegno a realizzare davvero le misure promosse e con risorse adeguate. Con ulteriore impegno poi a migliorarle continuamente.
Per superare davvero i limiti delle politiche familiari insoddisfacenti del passato, serve un impegno a realizzare davvero le misure promosse e con risorse adeguate
Quali sono le misure essenziali, a suo parere, su cui andrebbe imperniato un family act per essere efficace?
Serve un pacchetto di misure che dimostri di essere trasformativo, ovvero di produrre effettivi risultati, in modo integrato, sui seguenti fronti: favorire la scelta di avere un figlio; consentire a tale scelta di non peggiorare la condizione economica della famiglia; potersi armoniosamente conciliare con l’impegno lavorativo femminile; mettere sia padri che madri nella condizione di vivere pienamente l’esperienza di genitori sviluppando una relazione ricca con i figli; fornire servizi adeguati per uno sviluppo educativo di qualità per il bambino. In termini di indicatori, quelli su cui è necessario incidere, attualmente tra i peggiori in Europa, sono soprattutto: il tasso di fecondità, il tasso di occupazione femminile, la povertà infantile materiale ed educativa. Non si tratta di obiettivi indipendenti tra di loro, ma che devono diventare ciascuno leva positiva per l’altro, migliorando non solo le condizioni delle famiglie, ma riducendo anche le diseguaglianze sociali e rafforzando i processi di crescita e produzione di benessere del Paese. Un family act efficace può diventare, infatti, anche la più efficace politica di sviluppo.
Come valuta la proposta dell'assegno unico per figlio del Forum Famiglie, ovvero un contributo che potrebbe essere di almeno circa 150 euro al mese per ogni figlio, fino a 18 anni, strutturale e sganciato dal reddito, derivante dal riordino di altre misure? Dalla proposta all'attuazione spesso ci sono compromessi: quali sono le caratteristiche che devono assolutamente restare per non annacquarlo?
La proposta dell’assegno unico deve prima di tutto essere percepita da chi sceglie di avere un figlio come un contributo concreto alle spese che la famiglia affronta sia prima che ben dopo la nascita. Deve quindi essere riconosciuto possibilmente già a partire dagli ultimissimi mesi di gravidanza e poi avere continuità nel tempo. Non può essere solo simbolico, quindi conta l’entità del contributo, né avere un orizzonte ristretto. Ha il vantaggio di razionalizzare le misure esistenti, essere chiaro e facilmente accessibile. Consente di trasformare gli interventi a pioggia (spesso inefficaci e poco mirati a favore della natalità) in un’unica fonte a cui tutti i nuclei con figli possono attingere. Dovrebbe poi poter progressivamente diventare anche una dote per il figlio stesso, da utilizzare per le sue scelte di formazione e di autonomia quando diventa maggiorenne. Per questo motivo dovrebbe essere una misura che si rivolge a tutti i bambini. Questo non esclude che possa essere aggiunta una parte commisurata al reddito, ma non è la natura principale dell’assegno unico che nasce come misura universale.
L'assegno unico dovrebbe essere una misura che si rivolge a tutti i bambini. Questo non esclude che possa essere aggiunta una parte commisurata al reddito, ma non è la natura principale dell’assegno unico che nasce come misura universale
Una delle perplessità riguarda la presunta iniquità del dare la stessa cifra a famiglie con reddito diverso, "perché magari quelli hanno tre figli ma se li possono permettere", come si legge nei commenti sui social: è una iniquità o è al contrario un punto di forza?
L’assegno unico non va considerato in sé una misura di riduzione della povertà delle famiglie con figli, ma di sostegno alla scelta di qualsiasi famiglia di avere un figlio e di alimentare una dote che si cumula fino alla maggiore età per promuovere l’autonomia e la responsabilità dei giovani stessi, non condannandoli a sentirsi passivamente figli fin oltre i trent’anni. Non dobbiamo confondere le misure e gli obiettivi. Le politiche familiari non possono essere solo politiche di contrasto alla povertà, ma devono poter diventare parte centrale delle politiche di sviluppo – come mi ostino a sottolineare nei miei interventi su questo tema – ovvero a sostegno di scelte virtuose di giovani e famiglie che aiutano il paese a ridurre gli squilibri e a crescere. Una crescita che consente poi di avere ulteriori risorse per ridurre ulteriormente le diseguaglianze e alimentare ulteriore crescita. Dobbiamo considerare il welfare come investimento sociale in grado di abilitare le persone a far di più e meglio. Se non cresciamo saremo costretti via via a tagliarlo e a impoverirci ancora di più.
Foto Unsplash
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