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Trattati come nei lager. Il caso Montaquila

A sottolinearlo è stato il Procuratore capo di Isernia su quanto emerso sulla Residenza sociale privata di Montaquila dove i Carabinieri hanno eseguito 13 arresti per maltrattamenti, sequestro di persona, lesioni, percosse ed abbandono di persone incapaci

di Alceste Santuari

«In quella struttura internati come nei lager. Le loro grida inascoltate»: così si è espresso il Procuratore capo di Isernia su quanto emerso nella “clinica degli orrori” di Montaquila. Il procuratore ha parlato di «promiscuità tra maschi e femmine portati a lavare nello stesso bagno e asciugati con le lenzuola sporche. A 70 anni dall’orrore dei lager e dalla liberazione degli internati si verificano ancora queste cose».

Sono quelle news che non vorremmo e non dovremmo leggere nel 2014: ma invece sembra proprio che, ancora una volta, alle persone fragili (anziani e malati psichiatrici nel caso di specie) sia riservato un trattamento non certo degno di un Paese civile.

Succede in una Residenza sociale privata di Montaquila, in provincia di Isernia. I Carabinieri dei NAS di Campobasso, Napoli, Bari, Salerno e Foggia con i colleghi dell’Arma territoriale, hanno eseguito 13 arresti per maltrattamenti, sequestro di persona, lesioni, percosse ed abbandono di persone incapaci. Coinvolti il titolare della clinica, che è il sindaco del paese, medici, fisioterapisti, operatori sanitari, sociali e amministrativi. Venti sono gli indagati.  

Da quanto trapelato, i pazienti della Residenza (sic!), specie i malati psichiatrici venivano chiusi nelle camere e legati ai letti. La struttura può ospitare fino a 150 malati, ma i Carabinieri in alcuni periodi hanno trovato 180 pazienti.

Le condizioni sono state verificate a seguito di una segnalazione dei familiari di un paziente che presentava segni sul corpo. Da segnalare che il titolare della casa di cura è anche il sindaco del paese in cui la stessa ha sede, e quindi ha l’aggravante di essere in loco l’autorità sanitaria locale.

L’ordinamento sanitario non è certo parco di regolamentazioni, divieti, procedure et similia volte a valutare la bontà dell’azione delle strutture che erogano servizi alle persone anziane e/o disabili. Perché allora casi come questi, ciclicamente, vengono a galla? Perché forse proprio quegli strumenti, in primis l’accreditamento, dovrebbero essere maggiormente “tarati” sulla verifica sostanziale e attuale dei requisiti richiesti alla loro attivazione/apertura. Si tratta dunque di rafforzare non solo e soltanto i controlli ex post, ma anche quelli ex ante e in itinere, affinché la gestione (sia essa affidata ad un soggetto privato for profit o non profit oppure ad un soggetto pubblico possa essere costantemente monitorata. Servirebbe forse anche dare maggior peso a strumenti quali la carta dei servizi (che coinvolge anche i famigliari dei pazienti), a comitati dei famigliari, sedi nelle quali periodicamente si possa fare “il punto” dell’attività e degli interventi e quindi delle condizioni in cui il servizio viene erogato. E forse si potrebbe anche incentivare in modo più deciso di quanto non avvenga oggi l’adozione di strumenti e procedure volte a disegnare un sistema di responsabilità interne accountable (leggi: modello 231 e organismo di vigilanza). Non vorremmo che invocando semplificazioni eccessive si perdesse di vista il diritto degli ospiti, diritto esigibile ma che – come in questo caso – risulta negletto.

da personaedanno.it


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