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Un immigrato in cima al Ppi

La crisi del Partito Popolare? «I suoi dirigenti si sono ridotti a gestire un potere che non hanno più», dice deciso Seraphin Yelemou. Da dove ricominciare? «Dalla cosa più ovvia»

di Mariateresa Marino

Tra agli ?spifferi? delle residue correnti del Partito popolare che si preparano allo scontro nel congresso nazionale del 30 settembre per conquistare la leadership, tira a sorpresa un venticello più caldo. Viene da lontano. A portarlo è un ex studente rivoluzionario. Il suo nome? Seraphin Yelemou, originario del Burkìna Faso, ha solo 31 anni, ma di strada ed esperienza politica ne ha già fatta parecchia. E anche quando nel suo Paese ogni cedimento all?estremismo sarebbe stato giustificato, ha tenuto fede al suo principio: la moderazione e la mediazione come strada per ogni cambiamento. Oggi questo giovane di colore è presidente dei giovani popolari italiani. Ma che ci fa un extracomunitario nei corridoi di Piazza del Gesù e come ci è arrivato? La passione politica fa parte del bagaglio personale di Seraphin che arriva in Italia nel 1989 come rifugiato politico, costretto a fuggire alla repressione seguita al colpo di stato che nel 1987 portava al potere il regime militare ancor oggi insediato. La passione per la libertà è innata in Seraphin, ma la democrazia vera, quella che accoglie al suo interno anche il dissenso più acceso, la conosce solo in Europa. Dapprima in Francia , dove entra in contatto con la rete degli studenti universitari immigrati, e poi in Italia dove, giovane studente alla Facoltà di Scienze politiche dell?Università di Salerno, porta a termine la sua prima battaglia politica entrando a far parte nel 1993 del consiglio di amministrazione della facoltà. Si presenta per sfidare una sentenza del Consiglio di Stato che vietava ancora agli studenti stranieri di ricoprire questo ruolo. Ma è il 1993 l?anno delle definitive scelte di campo per Seraphin Yelemou. Si iscrive alla Dc, ormai in caduta libera e già in cerca di una nuova identità e di un futuro dopo le ceneri di Tangentopoli (nel ?94, infatti, viene rifondato il Partito popolare), e inizia la sua esperienza all?interno del partito. A meno di cinque anni dall?iscrizione, nel gennaio del 1998, Seraphin viene eletto presidente dei giovani del Ppi. Dei travagli e delle ansie della politica italiana, Seraphin parla con sicurezza e un pizzico di bonomia, come un osservatore ormai avvezzo ai ?terremoti? e alle crisi di identità dei nostri partiti. Ma la sua non è semplice benevolenza ma piuttosto lucida convinzione delle proprie idee, o meglio della propria ideologia. Già, perché Seraphin è uno dei pochi in Italia ad essere convinto che non tutte le ideologie sono da buttare a mare, e che, anzi, a ogni segnale di cedimento bisogna rispondere con una sferzata di stabilità. «Non sono crollate le ideologie», afferma perentorio il giovane presidente, «si è accentuato piuttosto il divario tra i giovani e la politica. Farli incontrare di nuovo è la vera sfida che ci attende». Un?affermazione che suona quasi come uno slogan ormai abusato, se non fosse per le ragioni che Seraphin porta per sottolineare la sua convinzione. Ecco la sua analisi: «Non si è fatto quasi nulla per ricominciare umilmente a tessere la tela del consenso dalla base della società civile. E cercare il suo consenso significa mettersi al suo servizio cercando di rappresentarne le istanze. Cosa si è fatto», si chiede Seraphin, «per dialogare con l?associazionismo, se non qualche convegno a Roma? Ma nel territorio i popolari sono stati a gestire un potere che ormai non hanno più. Credo che ci sia un unica strada da percorrere che si lega profondamente all?ispirazione cristiana dei popolari: il dialogo e il confronto con l?associazionismo, l?immenso arcipelago di realtà locali e la fitta rete di solidarietà che oggi», secondo Seraphin, «avrebbero molto da dire e soprattutto molto da fare per la politica, per riaffermarne la necessità». Il confronto con il Terzo settore significa anche per Yelemou ripartire da quel segnale di mobilitazione che era stata ?la petizione per la sussidarietà?, la raccolta di un milione di firme presentate, alcuni mesi fa, in Parlamento dal Forum permanente del Terzo settore. Una petizione che investiva in pieno il processo di riforma costituzionale, poiché conteneva la richiesta di riformulare l?articolo 56 della Costituzione, da riscrivere secondo un nuovo concetto di sussidarietà, che riconosca i cittadini soggetti costituenti la Repubblica al pari di comuni, province e regioni. «Fu un atto importante, quello della petizione, che doveva servire da legame inscindibile tra associazionismo e invece…il Ppi si voltò dall?altra parte», continua, «adesso ritessere quel filo smarrito è necessario più che mai, poiché ci si trova di fronte al rifiuto, più o meno costante, da parte dei giovani coinvolti nelle associazioni a impiegare le loro energie, trasformandole anche in passione politica. Molti si tirano indietro, quasi per paura di inquinarsi o contaminarsi». Paura legittima, verrebbe da dire, se si guarda indietro a quella che è stata la politica. Ma Yelemou non ci sta, lo dice chiaro, rivendicando peraltro la fedeltà alla storia di un partito con una forte ispirazione cristiana, «ciò che di più ricco oggi si può avere in Italia. Io che sono venuto da lontano sono stato affascinato dalla storia del Partito popolare e della Democrazia cristiana. È una storia appassionante anche nei suoi errori, sarebbe scemo buttarla a mare». «Nel partito ci sono molti giovani impegnati nel volontariato, ma è come fossero incoscienti, è come se l?impegno riguardasse solo la loro sfera privata», continua Seraphin. « Se si uscisse da questo tipo di individualismo e sì mettessero insieme energie e talenti, le tematiche affrontate dalla rete di solidarietà, laica e cattolica, potrebbero trasformarsi in tematiche politiche forti da portare avanti nelle sedi giuste. Soprattutto adesso, che si sta lavorando a un nuovo sistema di Welfare e tutta la politica economica del Paese passa necessariamente dalle politiche sociali e fiscali eque». Il presidente dei giovani popolari parla di questa necessità come di una priorità a cui i ?moderati? di questo Paese non possono più rinunciare, tanto che individua proprio nella mancanza di contatto e dialogo con le associazioni una delle cause della recente sconfitta politica del partito popolare alle elezioni europee. Il partito degli anni a venire, nelle intenzioni di Seraphin Yelemou, deve uscire dall?isolamento e raccogliere il consenso tra i nuovi fermenti della società civile. «In questa fase di rinnovamento», conclude Yelemou, «il segretario ideale potrebbe essere Pier Luigi Castagnetti, una personalità politica che garantisce la continuità della storia del partito e nello stesso tempo rappresenta un segnale d?innovazione. E poi, alla nuova segreteria nazionale consiglierei di mettere in agenda, tra i primi atti politici da avvìare, la costituzione di un tavolo permanente di confronto con l?associazionismo, poiché, e non mi stanco di ripeterlo, il Terzo settore rappresenta le esigenze reali dei cittadini ed è con questa realtà che occorre dialogare per capire come va governato questo Paese». Insomma, il futuro in politica sta in mano a chi è capace di raccogliere il consenso e Seraphin, tra le giovani leve del partito, ha lanciato la sfida. Un immigrato davvero ?speciale?, dallo sguardo calmo e dagli occhi curiosi di chi è capace di osservare, senza dimenticarsi di agire.


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