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Cooperazione & Relazioni internazionali

Un team del Gemelli in “missione” in Pakistan

E' partito ieri un gruppo di medici, operatori e volontari dell'Università Cattolica di Roma, a favore delle popolazioni della diocesi di Islamabad-Rawalpindi

di Redazione

E’ partito ieri per il Pakistan un team di medici, operatori sanitari e volontari dell?Università Cattolica di Roma in una missione esplorativa e di supporto didattico-formativo e assistenziale all?ospedale cattolico Fatima Hospital di Sargodha nella diocesi di Islamabad – Rawalpindi. L?intervento umanitario, a seguito della richiesta del vescovo locale, monsignor Anthony Lobo, promosso e coordinato dal Centro per la Cooperazione Internazionale della Cattolica di Roma, diretto da monsignor Elio Sgreccia, si articolerà in più fasi. La prima, della durata di un mese, coinvolgerà in particolare una équipe di medici esperti del Policlinico Gemelli nelle specialità più richieste dalle esigenze sanitarie della regione: Augusto Veneziani, chirurgo generale; Giovanni De Francisci, anestesista; Lucia Masini, ginecologa; Marianna Usai, infermiera strumentista; Mobeen Shahid, volontario pakistano e padre Cristiano Cavedon, assistente ecclesiastico della Cattolica di Roma. Il Fatima Hospital è l?unica struttura sanitaria cattolica della regione, con una popolazione che supera il milione di abitanti. Dispone di 70 posti letto ed è dotata di reparti di medicina interna e chirurgia generale. L?ospedale cattolico offre in particolare il suo servizio per i poveri del distretto, ma si trova in una situazione difficile per l?assenza di uno staff medico residente e per la carenza di attrezzature sanitarie indispensabili. Gli obiettivi principali di questo intervento di cooperazione tra la Cattolica e la diocesi di Islamabad Rawalpindi saranno di fare fronte alle necessità di attività chirurgica per i pazienti ricoverati; di migliorare le strutture e la dotazione delle sale operatorie anche attraverso la donazione di strumentazioni semplici, ma indispensabili quali un elettrobisturi, un monitor defibrillatore e di un apparato anestesiologico moderno e successivamente di endoscopi e laparoscopi; di formare una équipe medica residenziale messa in grado di svolgere l?attività chirurgica secondo standard più elevati. “Il nostro intervento ? afferma padre Cavedon ? è possibile e doveroso. Possibile perché ci sono le persone disponibili, sia a partire che a sobbarcarsi il peso delle sostituzioni dei partenti; doveroso in quanto trova la sua ragione d?essere nella straordinaria affinità tra la nostra università, voluta cattolica dal suo fondatore, e questo piccolo ospedale lontano da noi geograficamente, ma che ci offre un esempio di coerente testimonianza che non può lasciare indifferenti. Per la Cattolica si può dire che questo progetto di cooperazione unisca i due aspetti dell?aiuto tecnologico e di conoscenze e la testimonianza di impegno cristiano in una delle regioni più difficili in questo momento”.


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