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Education & Scuola

Una classe grande come il mondo.

In alcuni istituti uno studente su cinque è straniero e ormai quasi un terzo dei banchi in tutt’Italia sono occupati da loro. È pronta la scuola ad accoglierli? “

di Federico Cella

Il presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, ha rivolto il suo saluto agli studenti italiani, in occasione della riapertura delle scuole. Un discorso, quello presidenziale, che ha subito posto l?accento su una presenza ormai consolidata nelle classi italiane: «Sui banchi delle nostre scuole siedono in numero sempre maggiore ragazze e ragazzi immigrati in Italia con le loro famiglie. Rivolgo a loro», ha continuato il presidente. «un saluto di amicizia. L?Italia è terra ospitale». Gli studenti stranieri in Italia hanno infatti ormai raggiunto la quota di 83 mila per l?anno scolastico 1999/2000 (più 32% rispetto a due anni prima), un?incidenza dell?1% sul totale degli studenti italiani, che però in alcune zone del Paese aumenta fino all?8-9%. L?Italia è davvero ospitale? Una presenza importante, quindi, sottolineata proprio dalle parole stesse di Ciampi. Ma è proprio vero che l?Italia è un Paese ospitale? La nostra scuola, specchio della società, è in grado di accogliere e inserire un tale numero di ragazzi non italofoni? La risposta, malgrado un certo scetticismo inevitabile quando si parla di Pubblica Istruzione, sembrerebbe essere positiva. Se infatti la Legge 40 del ?98 sull?immigrazione è stata da molti accolta in modo soddisfacente come una legge moderna, non si può fare a meno di notare come l?allora ministero della Pubblica Istruzione abbia decisamente anticipato i tempi dell?accoglienza con la Circolare 301 dell?89, la prima a parlare in modo concreto di inserimento degli alunni stranieri. Una circolare che, a dire il vero, è stata poi recepita in modo differente (o per nulla recepita) nelle diverse Regioni e Province italiane, ma che ha già dato i suoi frutti in alcuni specifici provveditorati . Gli insegnanti facilitatori a Milano È senza dubbio il caso di Milano, città e provincia sede di più di 10 mila studenti stranieri, che fin dal 1989 ha istituito all?interno del proprio Provveditorato agli studi una commissione per l?educazione interculturale e l?integrazione. «Forse perché la nostra città, con tutti i problemi che può avere legati all?immigrazione, ha comunque una consolidata consuetudine che si rifà alle prime comunità arrivate almeno vent?anni fa. Ma Milano è anche meta di continui arrivi, da sempre nuovi Paesi, per cui il nostro lavoro è in continua evoluzione», spiega Monica Napoli, del Centro Come, ente tra pubblico e privato che si occupa di produrre sempre nuovi materiali e corsi di formazione per gli insegnati che si trovano ad affrontare studenti che non parlano l?italiano. Perché le esigenze linguistiche, e culturali, degli studenti cinesi (5.500 in tutta Italia) sono forzatamente diverse da quelle dei ragazzi albanesi (circa 11 mila) o di quelli marocchini (14.500). Una realtà multiculturale, quindi, che in alcune scuole milanesi arriva al 20% di presenza di stranieri. È il caso, per esempio, della elementare statale Confalonieri, che su un totale di 248 alunni, ne conta 48 provenienti da Paesi esteri. Il Provveditorato agli studi, in collaborazione con il Centro Come e la Fondazione Cariplo, ha approntato per questo tipo di scuole una modulistica in almeno dieci lingue, oltre a una serie di pubblicazioni adatte a preparare al difficile compito la figura professionale definita ?insegnante facilitatore?. «Si tratta in pratica di una figura docente unica nel suo genere nel nostro Paese, una figura specifica, diversa dal mediatore culturale, che ha una funzione più generale sull?accoglienza», specifica Rosi Spadaro, coordinatrice della commissione istituita presso il Provveditorato milanese. «L?insegnante facilitatore, oltre a essere un docente, ha caratteristiche peculiari proprio per l?inserimento scolastico dei bambini non italiani». Nuovi modelli di accoglienza Una figura caratteristica delle scuole di Milano che, pare, si stia diffondendo anche in altre città, come Firenze, Roma (dove gli alunni stranieri quest?anno hanno superato quota 18 mila), Torino, Verona. Con la possibilità che venga recepita anche a livello ministeriale, con la denominazione di facilitatori dell?intercultura. E che, quindi, con il subentrare a regime della autonomia scolastica, ?rischia? di diventare a tutti gli effetti un patrimonio stabile dell?organico delle scuole. Perché quella dell?insegnante facilitatore dovrebbe diventare il cardine del modello di accoglienza moderno e sensibile che vuole approntare l?istituzione-scuola. «Il programma italiano nei confronti degli studenti stranieri vuole arrivare all?obiettivo di mediare le diverse culture di cui sono portatori assieme la nostra. Con l?evidente beneficio anche per i ragazzi italiani», ci spiega ancora Rosi Spadaro. «A differenza di altri Paesi europei, come per esempio Francia e Germania, dove la tendenza è invece quella assimilazionista, e cioè che punta verso l?omologazione culturale di tutti gli studenti. L?obiettivo che ci siamo prefissi è quindi più complesso e più difficile da raggiungere, ma tutte le Regioni stanno cercando di allinearsi per lavorare al meglio». Anche perché, una volta superata quella che si potrebbe definire l?emergenza, ossia la prima accoglienza e l?alfabetizzazione degli studenti appena arrivati, il nuovo compito della scuola italiana dovrà essere quello di arrivare a una sorta di ?pari opportunità? fra gli studenti. La scuola, banco di prova per il futuro «La scuola potrebbe così diventare il vero portone d?ingresso nel nostro Paese», ci conferma Franco Pittau, responsabile Caritas per il Dossier Immigrazione (l?edizione 1999 verrà presentata a Roma il 19 ottobre). «Non significa nulla essere pro o contro l?immigrazione: è un fenomeno mondiale che fa seguito alle palesi profonde differenze economiche e di popolazione. Se infatti il numero delle nascite da coppie italiane è in continua diminuzione, il numero dei bambini figli di coppie straniere incide sulle nascite totali il doppio rispetto alla percentuale della popolazione straniera». Questo dato, collegato al crescente numero di ricongiungimenti familiari nel nostro Paese, mostra come la scuola italiana sarà il vero banco di prova di una futura popolazione italiana multietnica e multiculturale. Tredici regole per accoglierli 1) Preparate in classe un cartello di benvenuto nella sua lingua. Cercate di capire cosa può farlo sentire a suo agio, come un ospite di riguardo. Preparate dei giochi collettivi in modo che impari i nomi dei compagni (per es. pallanome). 2) Prendetevi un po? di tempo per accogliere il bambino e imparare a conoscerlo. Date anche a lui del tempo perché si orienti, magari impegnandolo in attività che non richiedono subito una comunicazione verbale. 3) L?inserimento di un alunno non italofono può crearvi ansia e timore, ma non dovete sentirvi soli. L?inserimento riguarda tutta la scuola e gli insegnanti: potete prevedere dei momenti di ?laboratorio linguistico? e di insegnamento individualizzato. Bisogna però evitare che intorno al bambino ruoti un numero eccessivo di persone. 4) Attrezzate il ?laboratorio linguistico? con foto e disegni che vi serviranno per visualizzare il lessico, le azioni, le situazioni. Scegliete un testo che vi indichi il percorso e le tappe da scegliere. 5) Come succede per i bambini italiani o agli adulti che imparano una nuova lingua, anche i bambini stranieri possono presentare modalità diverse di apprendimento: vi è il bambino che sta zitto per i primi mesi, e poi ?esplode?, mentre altri cercano subito di imitare parole e frasi ricorrenti. Non fatevi prendere dall?ansia e rispettate i tempi del bambino. 6) Nella fase di primo inserimento, il bambino compie sforzi notevoli di adattamento, apprendimento e riorientamento spazio-temporale. Deve infatti capire da solo le regole della scuola. Per questo è importante aiutarlo a orientarsi nelle diverse attività, segnalando il ritmo della giornata. 7) Il bambino deve apprendere l?italiano per comunicare e quello per studiare. Ricerche condotte in altri Paesi, ipotizzano una durata di due anni per imparare la lingua della comunicazione interpersonale e di quattro/cinque anni per acquisire quella scolastica. 8) Per facilitare l?apprendimento orale bisogna usare frasi brevi, limitare le subordinate, semplificare le strutture senza mai usare forme errate. Per facilitare la comprensione dei testi scritti, si può proporre un glossario di parole-chiave e segnalare i concetti base. 9) La riflessione grammaticale sulla lingua che il bambino sta apprendendo può essere proposta attraverso la sottolineatura delle strutture corrette e con la riformulazione delle frasi. Non devono essere introdotti termini metalinguistici nella fase in cui il bambino è impegnato a voler comunicare, capire e prendere la parola. 10) I momenti di insegnamento individualizzato e quelli della comunicazione con il gruppo dei pari, devono compenetrarsi. Infatti le prime parole prodotte dal bambino si riferiscono soprattutto alle situazioni di gruppo, come richiamare l?attenzione, proporre di giocare, entrare in contatto… 11) Non è negativo che il bambino continui a usare la sua lingua madre. Lo sviluppo della propria lingua è per lui una risorsa, oltre che un legame affettivo e d?identità con le sue radici. La scuola deve rassicurare i genitori sulla ricchezza del bilinguismo, e valorizzandole con cartelloni, canzoni e fiabe plurilingue. 12) Imparare un nuova lingua non è un fatto ?neutro?, tecnico. Diventa una nuova pelle che si sovrappone alla prima. Vuol dire costruire un equilibrio inedito, tra passato e futuro. 13) Non bisogna mai correre il rischio di ignorare la biografia, i sogni, le ?fratture? del bambino. Atteggiamenti e spazi d?ascolto della sua storia – e di quelle di tutti i bambini – servono a creare ?ponti? e legami fra il qui e l?altrove. Indicazioni agli insegnanti per la prima fase dell?inserimento dei bambini stranieri. Di Graziella Favaro e Arcangela Mastromarco


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