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Vincenzo, la tua vita mi interessa

Vincenzo Andraous, ergastolano con più di vent’anni di galera alle spalle, alla fine ce l’ha fatta: ha avuto l’articolo 21 per lavorare fuori dal carcere. Gli ha aperto le porte un giovane prete di Pa

di Cristina Giudici

“C arissimo don Franco, io sono un uomo di quarantacinque anni, con qualche decennio di cemento e sbarre sulle spalle e qualche secolo di inferno negli occhi…”; “Credimi Vince, la tua vita m?interessa perché nasce anch?essa dalla solitudine e dalla smania di avere tutto, ti aspetto per crescere con te”. È iniziato così il dialogo fra l’uomo Vincenzo Andraous e l?uomo don Franco Tassone che, grazie a un carteggio molto singolare, hanno potuto incrociare i propri destini. Oggi l?ex sorvegliato speciale Vincenzo Andraous, ergastolano con più di vent?anni di galera durissima, che ha ottenuto l?articolo 21 per lavorare fuori dal carcere, e il giovane prete di Pavia, coordinatore della ?Casa del giovane? e con la fissa della comunità aperta, senza muri né cancelli, vivono e lavorano assieme. Da ergastolano pluriomicida, Vincenzo Andraous, che è anche scrittore e vincitore di vari concorsi di poesia, si è trasformato in tutor. In uno dei laboratori della ?Casa del giovane?, la legatoria, dove si stampano libri, opuscoli, e locandine, segue un gruppo di giovani comunitari. Ragazzi a rischio, come si dice generalmente per riassumere il disagio di chi vive allo sbando, sulla strada, in balìa della droga, della disperazione e della violenza. Andraous non parla mai della sua storia, non risponde mai alle domande morbose dei ?suoi? ragazzi sui delitti commessi, ma, grazie al carcere, cerca oggi di aiutarli a non mollare, a non buttare via l?occasione del cambiamento. Esattamente come ha fatto lui. Che da anni, senza essersi mai pentito da un punto di vista giudiziario (cioé non ha mai fatto i nomi dei suoi complici), vive e paga con il suo tormento il prezzo del suo cambiamento, realmente avvenuto. Perciò ha scritto libri, tenuto conferenze sulla legalità, sulle brutture del carcere e la necessità del reinserimento dei condannati nella società. Ai giovani ha sempre detto solamente ?non fate come me? e oggi cerca attraverso la sua storia di dare il buon esempio. Grazie, ovviamente, anche al suo cattivo esempio. “Li osservo”, ci racconta senza perdere di vista i ?suoi? ragazzi seduti al tavolo di lavoro nella legatoria, “li consiglio e qualche volta li spio anche se non dovrei”, aggiunge ridendo. “Quando dicono ?rubiamo, tanto al massimo ci aspetta il carcere?, cerco di farli ragionare e spiego loro cos?è veramente il carcere, cos?è la tomba di una cella, e racconto quell’inferno da cui è così difficile riemergere. Li accompagno nei momenti di crisi e di dubbio, quando vorrebbero ritornare alla droga. Non sono un educatore, ma i lunghi anni in carcere mi hanno insegnato molto sui meccanismi di autodistruzione”. Da pluriomicida a tutor Da qualche anno, da quando è iniziato il suo cambiamento, Andraous è stato una specie di ospite speciale di parrocchie, scuole e convegni, ma nessuno ha mai creduto in lui fino al punto di offrirgli una possibilità, perché il suo passato era più forte di ogni buona intenzione. Tutti, tranne don Franco che in lui ha voluto vedere l?uomo che si era nascosto per anni dietro il ?mostro?, in lui ha solo visto ciò che scriveva nelle sue assillanti lettere e gli ha offerto la chance di lasciare il carcere, per ora fino alle sei di ogni sera. Grazie a un progetto ?ad personam?, costruito su misura per lui. Già, don Franco: un ex obiettore di coscienza che ha preso l?abito talare dopo l?incontro con don Enzo Boschetti, sacerdote diocesano fondatore di un piccolo impero del bene: la ?Casa del giovane?. Attualizzando la sua intuizione pedagogica basata sull’amore per la conoscenza, l?apertura ai fenomeni sociali e al disagio, ha costruito 18 comunità che ospitano oggi 250 ospiti: un centro servizi del volontariato sorto sulle macerie di una vecchia industria tessile dove si previene la diserzione scolastica, tre comunità per minori, tre centri diurni, un centro di igiene mentale per malati psichici convenzionato con l?Asl. “Oggi abbiamo diverse figure professionali e un?idea”, dice. “Non esiste un punto d?arrivo finale che ci permetta di conoscere la profondità dell?animo umano, perciò bisogna essere sempre aperti alle nuove situazioni, rivedere le nostre esperienze e conoscenze; stando al passo con l’evoluzione dell’umanità”. E soprattutto condividere. Don Franco ha voluto immergersi così tanto nella vita che non ha avuto timore, quando è stato il momento di farsi avanti per accogliere Vincenzo Andraous. Un uomo che lui definisce “diviso fra il tormento delle sue colpe e la ragione, che per tutta la vita ha cercato una dimora dove poter riposare”. “Certo, all’inizio è stato difficile”, aggiunge,”i ragazzi in comunità volevano sapere dei suoi omicidi, la gente della città ci ha criticato, ma poi insieme siamo cresciuti tutti”. Tutto iniziò con una lettera Per don Franco sono le idee a guidare il mondo e anche le amicizie. E infatti con Andraous è andata proprio così. Dal carcere lui gli scriveva: “In questi anni ho incontrato tanti giovani con il loro malessere e ho sentito il bisogno di indurli a guardare nell?abisso del mio passato, forse occorrerebbe più disponibilità per conoscere quel dolore che traspare nei loro occhi, quella difficoltà a comunicare, il meccanismo perverso della presunzione e del rifiuto di un’illusione già morta”. E don Franco gli rispondeva: “Il loro disagio è una condizione normale della loro crescita. Spalmati sul mondo della scuola, intrisi di valori che passano dallo zapping all’accelerazione, non trattengono, non assorbono, come dici tu, finché precipitano nelle loro difficoltà…”. E così, scrivendo e conversando sull?esistenza e il suo senso, sui giovani, la prigione e la libertà, su cose molto terrene, come la solidarietà, e su cose molto spirituali, come la fede, insieme hanno fondato un sodalizio pedagogico, “con un comune obiettivo: aiutare ed essere aiutati, aiutare chi è ancora in tempo per non perdersi e rendersi utili”, sottolinea don Franco.Così oggi Vincenzo Andraous, che passa le sue giornate nei laboratori, fra la legatoria, l’officina meccanica, la carpenteria affrontando questo disagio che lui definisce “rumore di questi guerrieri in erba”, si aggira con il suo ?protetto?, il più debole fra i deboli: Herman, che ha una malattia degenerativa ed è stato abbandonato dai genitori. “Quando l?ho visto per la prima volta, era sempre solo, non faceva mai amicizia con nessuno, era triste. Così gli ho fatto compagnia, senza troppe parole, siamo diventati amici. Prima non aveva concentrazione, nel lavoro e nello studio. Ora sta meglio e sorride sempre. Ogni tanto lo porto anche a casa”. Così anche Andraous ha ritrovato, come dice don Franco la sua dimora. Ha trovato l?amore di Cristina, la sua compagna, conosciuta alla presentazione di un libro, e continua a scrivere. La sua maratona, da lui stesso descritta in un testo teatrale (?Avrà mai fine questa interminabile maratona? Ho guardato in alto verso di loro e ho gridato con quanto fiato avevo, stremato, sfinito ho percorso nell’ultima curva più lunga di quanto pensassi, era proprio come la vita…?), forse si è conclusa. Ora che sta dando alle stampe un nuovo saggio, ?Oltre le sbarre?, dedicato alla comunità come strumento di recupero dei detenuti, forse è pronto per dimenticare le sue colpe. Perché, come dice il suo amico e benefattore don Franco Tassone: “Ognuno di noi ha il suo doppio e il suo contrario. Fuori magari si vede il mostro, ma dentro c’è il nostro desiderio di migliorare. Vincenzo Andraous è ancora prigioniero della sua storia, ma ha anche trovato la sua parte migliore e l’ha messa al servizio della comunità”.


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