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Il vescovo anti diga “striglia” i vertici di Enel

di Paolo Manzo

Per la sua lotta contro le ingiustize sociali il vescovo guatemalteco Álvaro Ramazzini ha rischiato più volte d’essere ucciso e negli ultimi vent’anni ha visto morire 14 preti che, come lui, chiedevano più uguaglianza nel loro Paese. Insignito di premi prestigiosi come il “Pacem in Terris” e il “Konrad Lorenz”, Ramazzini ha presieduto la Conferenza episcopale guatemalteca sino all’anno scorso e oggi è delegato dell’Iccr, una coalizione di 275 ordini religiosi che ogni anno presenta mozioni su temi socio-ambientali alle assemblee di centinaia di multinazionali.
Il battagliero vescovo è arrivato da poco in Italia per partecipare all’assemblea degli azionisti Enel e difendere i “suoi” indigeni minacciati dalla centrale idroelettrica di Palo Viejo, nel dipartimento di Quichè. Un colosso idroelettrico inaugurato lo scorso 15 marzo da Enel Green Power con una capacità complessiva di 85 MW che, a detta delle popolazioni locali, avrebbe però “distrutto l’ambiente”.
«Lo scopo di Enel», ha esordito il vescovo-azionista, «è di fare soldi ma se pensiamo solo all’economia il mondo non funziona, sono necessarie anche la fede e l’etica». Poi, ammonendo i vertici dell’azienda, ha ricordato che «le rivolte delle comunità sono cresciute e voi dovreste prenderle in maggiore considerazione».
A seguire, le richieste concrete. «Vi chiediamo un cambiamento nella vostra politica commerciale, le comunità indigene vogliono una partecipazione giusta nei guadagni del progetto perché, per la diga, non sono state consultate». Il quantum si aggirerebbe attorno al 20% dei profitti, per rimediare ai danni ambientali causati dalla costruzione dell’impianto. Infine una bella domanda: «Come può l’Italia inviare aiuti allo sviluppo se poi la sua impresa Enel non rispetta gli indigeni?».


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