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Martina Franca, faro per l’integrazione

Siamo andati a conoscere da vicino persone e attività del progetto Sprar - Sistema di protezione richiedenti asilo e rifugiati - che l'associazione Salam promuove nella storica cittadina pugliese. "Importante compiere azioni che abbiano ricaduta positiva per tutti, migranti come popolazione locale", indica Simona Fernandez, presidente dell'ente non profit che attualmente segue 200 persone tra adulti e minori

di Daniele Biella

Le immagini sono di quelle che non dimentichi: persone – richiedenti asilo politico – di ogni provenienza, e di conseguenza colore della pelle, intente a coltivare un orto assieme ai locali. O a partecipare a un corso di scrittura autobiografica assieme agli utenti del centro diurno per malati psichici del territorio. Ancora, a registrare in cinque lingue una audioguida per i percorsi turistici della zona, ciclovie come centri storici recuperati all’abbandono. Sta succedendo tutto questo tra Martina Franca e Taranto, cuore bivalente di una Puglia in cui bellezza (la valle d’Itria, di cui Martina Franca, come Alberobello e Cisternino, sono perle) e disagio (la questione, in atto da decenni, sull’impatto dell’industria pesante sulla popolazione locale e sull’ambiente: vedi la polvere rossa dell’Ilva, i cementifici, le raffinerie) vanno inesorabilmente a braccetto ma soprattutto terra in cui sta funzionando un modello di Sprar, Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati, che ribalta la percezione – distorta da scandali eclatanti – del business dell’accoglienza dei migranti nel nostro paese.

“L’importante è compiere azioni che abbiano una ricaduta positiva per tutti, migranti come popolazione locale”, sottolinea Simona Fernandez, alla direzione dell’associazione Salam, ente gestore dello Sprar di Martina Franca (uno dei 430 Sprar attivi oggi in Italia) e di servizi di prima accoglienza per adulti e minori a Taranto, in stretta collaborazione con le istituzioni locali e, ovviamente, la Prefettura. La ricaduta di cui parla Fernandez è più che tangibile, per esempio, camminando per le vie della città vecchia di Taranto, lasciata per decenni nell’incuria ma oggi in ripartenza: qui, grazie a un progetto ad hoc, “richiedenti asilo e cittadini hanno collaborato a una guida turistica in sei lingue (francese, inglese, cinese, russo, arabo, farsi) ora fruibile gratuitamente tramite l'app izi.travel”, spiega. “progetto costato 40mila euro in tutto per le otto borse lavoro, la formazione e il materiale, con un risparmio notevole dato che si sono usate le risorse linguistiche e professionali degli stessi richiedenti asilo per un servizio che ora può essere molto utile per tutti”.

L’associazione Salam gestisce a Taranto anche un Centro interculturale, dedicato a Nelson Mandela, dove migranti e locali si incontrano “sia per corsi di inglese e arabo tenuti dagli stranieri, viceversa per corsi di guida tenuti dai cittadini italiani”, aggiunge Fernandez. Incontro che si modula anche attraverso altre esperienze: “lo scambio di esperienze tra richiedenti asilo e persone con malattie psichiche del centro diurno di Martina Franca, ma anche le tante famiglie arrivate da tempo nella stessa città e ora inserite nel tessuto sociale e lavorativo, così come aventi la propria casa nel centro storico, veri e propri abitanti”, sottolinea Cataldo Mignogna, operatore di Salam che si occupa di promuovere eventi a scopo socio-culturale.

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“La ricetta del buon funzionamento di un servizio sta nel livello di autonomia che riescono a raggiungere i beneficiari: l’obiettivo è l’inclusione sociale di queste persone attraverso percorsi attenti alle singole situazioni, certamente, ma che vadano nella stessa direzione e usino gli stessi strumenti di quelli pensati per la popolazione locale stessa”, aggiunge Mignogna. Per questo “collaboriamo il più possibile con le altre associazioni locali”, con l’ottimo esempio dell’orto sociale ora gestito dagli stessi migranti che vivono in varie case di Martina Franca, in collaborazione con la società civile del territorio. Attualmente Salam segue 200 persone – 56, tra singoli e famiglie, nello Sprar di Martina Franca, 24 Msna, Minori stranieri non accompagnati, nel Centro di prima accoglienza di Statte, 120 adulti nelle strutture sparse per Taranto e dintorni – dando lavoro a 40 persone tra operatori, assistenti sociali, psicologa e mediatori culturali, questi ultimi rifugiati stessi (tra essi il fotografo e videomaker iracheno Ali Nikon, autore delle foto del servizio, che ha dovuto lasciare la madrepatria a causa dei suoi scatti di denuncia).

“L’accoglienza è virtuosa in presenza di due fattori”, riprende la presidente dell’associazione, “una buona formazione di chi gestisce le strutture, sia in termini di progettazione mirata alla graduale autonomia dei richiedenti asilo sia per quanto riguarda la conoscenza diretta dei loro luoghi di provenienza, e la presenza di mediatori culturali di lingue diverse che non siano meri traduttori ma abbiano come valore aggiunto la sensibilità per capire il ‘non detto’ delle storie delle persone, spesso fondamentale per capire le singole situazioni e quindi riuscire a gestirle nel miglior modo possibile”. Martina Franca faro d’integrazione, quindi. E la conferma arriva da un luogo che non t’aspetti: la Basilica cittadina. La scorsa vigilia di Natale un gruppo di richiedenti asilo musulmani ha donato, in segno di rispetto, il Bambino Gesù alla comunità cristiana. “Camminiamo fianco a fianco, in amicizia, per far prevalere il bene comune e la responsabilità”, ha sottolineato, nel riceverlo e mostrarlo ai fedeli, il vescovo Filippo Santoro.


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