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Cooperazione & Relazioni internazionali

In Niger con Rocca (Cri): «Qui serve molto più sviluppo che sicurezza»

Seconda missione ufficiale, la prima in Africa dopo quella in Siria, per il neoeletto presidente della Federazione internazionale di Croce rossa e Mezzaluna rossa: "i migranti di passaggio sono fermi nella città di Agadez per i maggiori controlli nel deserto, ma non rinunceranno a partire"; spiega dopo avere incontrato molti di loro. "Solo un investimento sulle comunità locali potrà porre rimedio alla povertà endemica di queste zone, lo si faccia presto per evitare che il Niger, oggi ospitale nonostante tutto, diventi instabile come la Libia"

di Daniele Biella

“Europa o niente. Dio è là”. “Meglio morire in mare che davanti a mia madre”. Agadez, Niger, febbraio 2018. Due scritte sui muri, una in francese, l’altra in arabo, che nessuno può evitare di leggere e che riassumo tutto: la migrazione di persone dall’Africa Subsahariana verso Nord – leggasi “lasciateci migrare, costi quel che costi” – non si fermerà. “Ci siamo trovati davanti a persone che volevano raccontarci la propria storia, e che ora sono ferme qui alle porte del deserto del Sahara ma appena riescono a trovare il trafficante giusto partiranno per la Libia e poi l’Europa, nonostante tutto”, spiega a Vita.it direttamente dai 39 gradi di Agadez Francesco Rocca, presidente di Croce rossa italiana ma anche, recente nomina, a capo della Federazione internazionale di Mezzaluna rossa e Croce rossa. “'Nonostante tutto' significa questo: hanno presente le torture che potrebbero subire in Libia, ma sono disposti a passarci in mezzo pur di arrivare in quella parte di mondo in cui sanno di potere stare meglio: ‘quello che per voi è crisi economica e rischio di povertà per noi è comunque ricchezza rispetto al luogo da cui siamo partiti’, dicono”. Rocca ha passato molto tempo del suo viaggio (torna oggi sabato 24 febbraio in Italia) a incontrare operatori umanitari, migranti e autorità, e venerdì mattina ha visitato una scuola supportata dalla Croce rossa italiana che è stata intitolata a suo nome.

Qual è l’aspetto che più la colpisce della situazione del Niger?
Siamo nell’epicentro delle sfide umanitarie del mondo, tra povertà endemica – il Niger è uno dei Paesi più poveri del mondo – e flussi migratori, con centinaia di migliaia di persone venute da Stati del continente, soprattutto Mali e Nigeria, confinanti entrambi a sud e pervasi da anni dal terrorismo che provoca fughe di massa. Mi fa impressione tutto questo flusso sia accettato dai nigerini con un’apertura allo straniero che non contiene traccia di xenofobia o intolleranze: di certo essendo un Paese povero c’è un’economia illegale che nasce con questi traffici e va stroncata e riconvertita, ma è davvero importante sottolineare come ci sia il totale rispetto delle persone che arrivano, che infatti ho incontrato nei centri medici dove è presente Croce e Mezzaluna rossa nigerina ma anche in strada.

Nel deserto poco più a nord di Agadez, ovvero prima del confine libico, da almeno 18 mesi i militari nigerini pattugliano la zona e si è notata una drastica riduzione dei passaggi da quella zona. Dove vano le persone?

Molti sono fermi da mesi ad Agadez ma questa sosta forzata rende solo più ansiosa la loro volontà di ripartire. Una ripartenza che diventa ancora più pericolosa: i trafficanti stanno attivano nuove strade per farli viaggiare, magari in piste minori del deserto, e questo aumenta notevolmente il rischio di non farcela: non si riescono a contare le persone, ma è certo che nel Sahara muoiono come minimo tante persone quante annegano nel Mediterraneo. Il problema è che questi flussi vanno compresi e capiti per poi mettere in atto altre strategie che non siano solo legate a questioni di sicurezza: non basta. Le azioni di contrasto al traffico vanno accompagnate dallo sviluppo di comunità, ma per esempio qua in Niger non si vede granché.

All’indomani della nuova missione militare italiana in Niger, qualcuno ha detto “anziché inviare soldati, inviamo un esercito di insegnanti". Cosan ne pensa?
Sarebbe davvero quella la direzione da intraprendere. Ho appena visitato una scuola, dovreste vedere l’energia e la voglia di fare dei 1200 bambini che la frequenteranno e degli insegnanti che vogliono agire per cambiare le sorti del proprio Paese. Che invece ristagna perché mancano occasioni di sviluppo alternative all’economia dei traffici. C’è molta insofferenza anche nelle autorità locali, mi hanno detto di sentirsi in preda a un neocolonialismo che non aiuta il Niger a camminare sulle proprie gambe. Mi spiace dirlo, ma senza accompagnamento, nei prossimi anni questo Paese oggi comunque pacifico e tollerante sia verso i migranti di passaggio che verso i rifugiati scappati dal terrorismo limitrofo potrebbe tramutarsi in un’altra polveriera come quella libica, se non cambiano prospettive. E la situazione della Libia oramai purtroppo la conosciamo tutti, con le bande armate che la fanno da padrone.

Quale accompagnamento necessita il Niger?
Faccio un paragone chiaro: a ogni euro investito in sicurezza attraverso le missioni internazionali e le presenze militari, l’Unione europea dovrebbe garantire almeno tre euro per lo sviluppo. L’impegno va preso ora, non si può più aspettare. C’è un ottima disponibilità verso gli aiuti umanitari – e questo come Federazione lo sperimentiamo in prima persona – in particolare da una società civile che ovviamente non è ai livelli delle nostre ma è in costruzione e ha bisogno di supporto. Il tema della sicurezza alimentare, per esempio, su cui lavoriamo molto, è sentito e la formazione è continua. Ci vuole un dialogo vero, che vada oltre gli interessi territoriali europei nella zona, compresi quelli economici e geopolitici, e capisca che la sfida si vince solo dando possibilità alle comunità locali di crescere autonomamente, in Niger come negli altri Stati dell’Africa Subsahariana. Vedere con i propri occhi la mancanza di speranza per il futuro, che purtroppo si scorge in molti volti, non lascia molti dubbi sul fatto che sia quella l’unica strada da prendere anche per stroncare il traffico di esseri umani.

Foto di Tommaso Della Longa/Cri


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