Eugenio Borgna è uno dei maggiori psichiatri italiani. Affascina sempre con il suo approccio teso a dar significato alle esperienze di dolore di ogni uomo. Borgna ha appena pubblicato un nuovo libro, bellissimo: Le emozioni ferite (Feltrinelli). Eccone una pagina.
La psichiatria ha a che fare continuamente con le parole: con le parole che portano luce, e con quelle che hanno in sé l’ombra del dolore: con le parole che alimentano le speranze, e con quelle che le inaridiscono. (…)
Le parole, che noi diciamo nella vita di ogni giorno, non sono quelle delle quali hanno bisogno le pazienti e i pazienti divorati dalla loro fragilità e dalla loro angoscia. Le parole a loro necessarie sono quelle che riescono ad essere un ponte fra la soggettività di chi cura e quella di chi è curato: ricreando, così, la misteriosa alleanza terapeutica fra l’una e l’altra soggettività.(Non c’è conoscenza in psichiatria, ma in fondo anche nella quotidiana vita relazionale, se non nasce fra noi e gli altri-da-noi una corrente emozionale reciprocamente significativa che ci consenta di cogliere le voci silenziose del dolore e le attese inespresse).
Il linguaggio delle parole: quali parole dire, con quale intensità, con quale partecipazione – e, in ogni caso, al di fuori di ogni fatale indifferenza, di ogni arida rassegnazione? Se qualcosa può rianimare una persona, una persona che soffre, sono le parole che nascono dal cuore: dalla nostra capacità di risalire dai volti, dagli sguardi, dai frammenti di parole che ascoltiamo, dai silenzi, alla immedesimazione nelle attese, nelle angosce, nei desideri, nelle speranze degli altri.