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Con Housing First i clochard passano dalla strada alla casa

Arriva in Italia la rete che elimina il percorso a scalini(accoglienza, permanenza in strutture a bassa soglia come dormitori o social housin ed, eventualmente, reinserimento in una normale abitazione). Niente più dormitori, comunità e gruppi appartamento. L’idea americana, diventata matura a Lisbona, è sbarcata nel capoluogo piemontese

di Christian Benna

Nasce in Italia la rete che diventerà un tetto per i senza dimora. Si chiama Network Housing First, vi aderiscono 150 soggetti (enti pubblici, cooperative sociali, fondazioni e associazioni), e ha l’ambizione di rivoluzionare le strategie di sostegno agli homeless. Come suggerisce il nome, la casa viene prima di tutto. Prima ancora del trattamento sanitario di un disagio psichico e dell’aiuto a uscire dalla dipendenza di alcol e droghe.

Il modello a cui si ispira Housing First è americano, sviluppato a partire dagli anni 90 da Sam Tsemberis di Pathway to Housing, ma filtrato attraverso l’esperienza di Casa Primeiro, la più avanzata in Europa nel campo, che a Lisbona segue attualmente 50 senzatetto. «L’idea di fondo – spiega  Josè Ornela dell’Ispa, Istituto universitario di Lisbona, e alla guida di Casa Primeiro, che ha tenuto a battesimo, lo scorso fine settimana a Torino, la nascita del network Housing First Italia – è eliminare tutto quel percorso a scalini (dal marciapiede al dormitorio, alle comunità, ai gruppi appartamento) che dovrebbe portare al recupero dei senza dimora. Housing First invece arriva subito al traguardo: dalla strada alla casa. E non obbliga, ma incoraggia, le persone a partecipare a trattamenti sanitari o di disintossicazione. In ogni caso i due percorsi, aggiudicazione di un casa e recupero, sono tenuti distinti e separati, per non mettere pressione».

Di base, quindi, ci sono la fiducia e l’offerta di normalità.  È quindi la comunità il vero paracadute per gli homeless. Che vengono inseriti in contesti abitativi tradizionali, e quindi non ghettizzati, seguiti e accompagnati a distanza dagli operatori.  Secondo i dati forniti da Ornela, le strategie di Housing First è stata premiata. «Nell’arco di sei mesi, un anno al massimo – spiega Ornelas – l’80 per cento dei nostri utenti taglia ogni legame con la strada; e il numero dei ricoveri in reparti psichiatrici o dei trattamenti per l’alcoldipendenza crolla. Ma soprattutto, tutti i partecipanti sentono di essere padroni delle loro scelte, perché sono loro a pagare l'affitto, utilizzando parte del sussidio o, una volta ripreso a lavorare, del proprio stipendio». Il nuovo modello di housing proposto, nell'attesa che anche da noi si preveda una qualche froma di reddito di cittaadinanza, come spiega Stefano Galliani, presidente di Fiopsd,  si ispira a una presenza ridotta degli operatori, che si limitano, nel modo meno invasivo possibile, ad «andarli a trovare per qualche ora al giorno, aiutandoli nei lavori di casa o a fare la spesa».

In Italia esistono esempi affini a questi modelli, come il progetto Rolling Stone a Bergamo, il progetto Tenda a Torino, o le iniziative di Fondazione Progetto Arca a Milano, della Caritas di Agrigento (sia per migranti che per italiani) e quelle di amici di Piazza Grande a Bologna . Mancava però una rete, in grado di reperire le risorse per il costo degli appartamenti e per l’assistenza. Alla formazione degli operatori ci penserà  Federazione italiana organismi per le persone senza dimora (Fiopsd), ente promotore del network.

 


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