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Cooperazione & Relazioni internazionali

Dopo l’inferno libico, il deserto tunisino

Dopo l'uccisione di un 41enne, 1200 migranti subsahariani sono stati deportati da Sfax, la città diventata il principale hub dei flussi del Mediterraneo, in due zone cuscinetto desertiche confinanti con Libia e Algeria, i due paesi da cui erano entrati illegalmente. Dopo sei giorni, un reportage di Al Jazeera e gli appelli delle ong, 500 sono già stati riportati in città con strutture e cibo ma almeno otto sarebbero morti di stenti nel deserto. Fin qui la tragica cronaca, ma per capire meglio cosa succede, cosa fare, VITA ha intervistato don Domenico Paternò, da 10 anni un punto di riferimento dei salesiani a Tunisi

di Paolo Manzo

Circa 1200 tra uomini, donne e bambini, provenienti dall’Africa subsahariana, sono stati espulsi mercoledì scorso dal porto di Sfax, in Tunisia. Le forze dell’ordine li hanno fatti salire su degli autobus e li hanno abbandonati senza cibo né acqua ai confini del deserto tra la Tunisia e le confinanti Algeria e Libia. Dopo una settimana centinaia sono ancora intrappolati sotto il sole cocente ed almeno otto sarebbero già deceduti per disidratazione e sfinimento, secondo media ed ong internazionali. Un reportage mandato in onda ieri da Al Jazeera, l'unica tv riuscita a raggiungere il gruppo più numeroso di 450 migranti nella zona di confine pattugliata dalle forze armate di Libia e Tunisia, ha portato alla luce questo dramma.

Un dramma nato dagli attacchi di contro i subsahariani esplosi a Sfax, dopo che le autorità locali avevano annunciato la morte di un uomo del posto, il 41enne Nizar Amri, ucciso durante una lite con alcuni migranti. Il funerale di Amri, il 3 luglio scorso, ma soprattutto le riprese sui social media del suo corpo sanguinante hanno provocato un'ondata di violenza così intensa Al Jazeera ha descitto «come una guerra civile».

Migliaia di migranti subsahariani hanno invaso le stazioni ferroviarie e dei taxi per fuggire dalla città e la polizia tunisina, impreparata non ha trovato di meglio se non deportarne almeno 1200 nelle zone desertiche ai confini di Libia ed Algeria. Al confine algerino, l’ong Alarm Phone ha rintracciato due gruppi di oltre 100 persone che hanno raccontato come la polizia aveva preso i loro cellulari e soldi prima di abbandonarli nel deserto. Secondo la piattaforma che raccoglie gli Sos dei migranti in difficoltà, i gruppi si erano divisi. Alcuni hanno denunciato ad Alarm Phone di aver camminato per circa 100 km nel deserto senza acqua e che tre di loro erano rimasti indietro, probabilmente morendo nel deserto.

Ieri la Caritas ha lanciato un appello urgente per aiutare i migranti bloccati nelle aree desertiche mentre l'ong Beity ha denunciato in un comunicato che «siamo stati testimoni per giorni di una vera e propria caccia all'uomo a Sfax», invitando operatori umanitari, enti di beneficenza e istituzioni pubbliche a «coordinare gli sforzi e mettere in comune le risorse» per soccorrere i migranti deportati nel deserto. Refugees International ha invitato gli Stati Uniti e l'Unione europea a fornire aiuti urgenti, a condannare le «espulsioni forzate da parte dei servizi di sicurezza tunisini» ed a «sospendere l'assistenza alla sicurezza in Tunisia fino a quando non cesseranno gli abusi e non saranno indagate le recenti espulsioni».

Dal canto suo il presidente Kaïs Saied ha respinto le accuse definendole «bugie propagate sui social network», accusando «le reti criminali» per l'afflusso di migranti nel suo paese ed insistendo sul fatto che i diritti dei richiedenti asilo e dei migranti sono rispettati in linea con i valori tunisini, «contrariamente a quanto sostengono gli ambienti coloniali e i loro agenti».

Ieri il portavoce della Mezzaluna Rossa tunisina Mounir Ksiksi ha detto che circa 500 persone provenienti dall'Africa sub-sahariana che erano state intrappolate nel deserto al confine sono già state trasferite in altre regioni della Tunisia. Un portavoce dell'Organizzazione internazionale per le migrazioni, l'Oim, ha confermato che 158 migranti sono stati trasferiti in un rifugio nella città di Tataouine e altre 353 persone in strutture pubbliche a Medenine.

Per fare il punto sulla situazione VITA ha intervistato il Superiore della neonata Circoscrizione Speciale del Nord Africa dei Salesiani, don Domenico Paternò, da dieci anni in Tunisia. I salesiani in Tunisia In questo momento sono infatti appena sei ma è stata costituita proprio qualche giorno fa la nuova provincia salesiana dell'Africa del Nord e quindi la presenza salesiana nel giro di qualche anno sarà aumentata di molto e, assicura il don Paternò, «faremo una rete per meglio affrontare i vari fenomeni e meglio servire la gioventù che è tanta in questi paesi ed è veramente in gamba, peccato che non venga valorizzata».

Come hanno impattato a Tunisi gli ultimi fatti di Sfax?

Sono molto tristi ma non sono una novità in questo anno 2023 iniziato male perché, purtroppo, nel desiderio del governo tunisino di mettere un po' di ordine in casa propria e quindi di chiedere a coloro che sono sul territorio di essere in possesso di un regolare permesso di soggiorno, sono subentrati motivi politici.

Ovvero?

Strumentalizzazioni da parte di organizzazioni politiche interessate a creare il caos che hanno portato a una specie di caccia all'africano che è degenerata in alcune zone. Non non dappertutto per carità, perché quello tunisino non è un popolo razzista ma accogliente e cordiale. Però lei sa che certe volte ci sono delle cattive interpretazioni e persone che spingono per creare disordine e violenza e, quindi, approfittano di questa momentanea debolezza degli africani subsahariani, che si trovano in gran parte senza i permessi, per invocare provvedimenti drastici. Qualcosa di simile l'abbiamo visto anche in Italia e qui qualcuno ha usato toni che magari da noi userebbe Salvini, come tipo di di interpretazione del problema. Di certo questa fiammata è stata purtroppo indotta anche da alcune frasi imprudenti di qualcuna delle autorità responsabili interpretate come un «allora dategli addosso». E questo ha creato instabilità nel rapporto tra i subsahariani e la popolazione tunisina in alcune zone più deboli.

Perché è successo proprio a Sfax?

Perché è la città che ha il maggior numero di subsahariani in quanto offre più opportunità lavorative dove i migranti purtroppo sono anche tanto sfruttati, un risvolto molto triste. Arrivano spesso con la speranza di passare il Mediterraneo non importa in che modo e allora si devono procurare i soldi per pagare i «passeur» e lo fanno lavorando in nero. C'è anche una rete criminale che ha creato tutto questo. Guardi, la questione dei migranti è una questione complicatissima, perché ci sono interessi enormi, enormi, e va inserita nel quadro della situazione generale.

Cosa fanno i salesiani in Tunisia?

Lavoriamo in mezzo ai musulmani e con i musulmani e, quindi, le nostre scuole hanno centinaia di allievi, tutti tunisini. Questa è la cosa bella: famiglie musulmane che scelgono per l'educazione dei loro ragazzi delle scuole che sanno benissimo essere dirette da salesiani, che sono dei cristiani, però che hanno la massima fiducia perché il nostro sistema educativo rispetta chiaramente le religioni dei paesi in cui si trova essendo inclusivo e non esclusivo, e li include per diventare degli onesti cittadini di cui c'è bisogno ovunque e ad essere dei buoni credenti. Cioè, siete musulmani, siatelo bene, nel modo migliore possibile. Di certo non da estremisti, perché la fede musulmana ha i suoi valori e bisogna anche riconoscerne le sue positività, come dice anche il Papa. Questa è la nostra principale attività ma siccome collaboriamo anche con le le parrocchie e le chiese di qui, è chiaro che i nostri fedeli sono quasi tutti dei subsahariani, soprattutto giovani e, quindi, la Chiesa cattolica attraverso la Caritas è sempre molto vicina a questi migranti e li aiuta in tutti i modi possibili, anche in cooperazione con l'organizzazione delle Nazioni Unite per i migranti, l’Oim, e le associazioni della società civile tunisina.

Cosa si augura?

Che i subsahariani in Tunisia possano ritrovare tutti pace e serenità. Noi ne conosciamo tanti perché, nelle chiese sono loro i fedeli che vengono e sono centinaia. Negli ultimi tempi li abbiamo visti tesi e, quindi, speriamo che possano ritrovare la loro serenità. Naturalmente la Chiesa cattolica attraverso la Caritas e le associazioni tunisine che ci sono della società civile stanno facendo il possibile per ritrovare di nuovo un equilibrio e potere riacquistare questa serenità. Mi auguro anche che non ci siano strumentalizzazioni dannose per tutti perché, come le dicevo, i tunisini sono brave persone e non non c'è nessun razzismo preconcetto. Il grande quadro della migrazione è qualcosa di umano che va affrontato a livello umano, senza ideologie e senza scandalizzarsi perché da sempre l'umanità è in movimento. Ricordiamoci che dopo la conquista della Sicilia di Garibaldi e fino al 1930 c'è stata una grande migrazione in Tunisia e dalla Sicilia e dall'Italia sono partiti a migliaia. I francesi li chiamavano «turisti clandestini» e li trattavano male come trattavano male i tunisini ma poi poi fecero la storia della nostra migrazione qui, che è imponente. Se lei va in certe zone fra Tunisi e Hammamet ci sono ettari ed ettari di viti precise a quelle che abbiamo a Mazara del Vallo, piantate dai contadini siciliani che dopo l'Unità d'Italia scapparono in Tunisia. Una migrazione al contrario e, quindi, niente di nuovo sotto il sole. Gli italiani sono dappertutto nel mondo, quindi perché adesso ci scandalizziamo degli africani?

Nella foto: don Domenico Paternò


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