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Def: cooperazione e immigrazione restano nell’ombra

Nel documento di economia e finanza, Def 2023, la parola rifugiati è usata solo in relazione all’Ucraina e ai fondi del ministero dell’Interno contabilizzati come aiuto allo sviluppo. Integrazione è usata una sola volta in relazione ai programmi nazionali di riforma dei Paesi dell’Unione Europea e l'Africa è citata solo a proposito del Covid. Si continua a sottostimare l’azione internazionale per lo sviluppo, nonostante i Piani Marshall e i Piani Mattei annunciati con roboanti proclami ma rimasti tali

di Nino Sergi

La Sezione I – “Programma di stabilità” del Documento di Economia e Finanza Def 2023, presentato dal presidente del Consiglio Giorgia Meloni e dal Ministro dell’Economia e delle Finanze Giancarlo Giorgetti e approvato dal Consiglio dei Ministri l’11 aprile, fornisce pochi elementi in tema di cooperazione internazionale per lo sviluppo e di immigrazione ma sufficienti a capire le linee politiche programmatiche del Governo.

Cooperazione internazionale allo sviluppo

Nel Def è citato l’articolo 30 della legge 125/2014 che stabilisce il graduale adeguamento delle risorse per la cooperazione allo sviluppo in linea con gli impegni internazionali assunti, cioè lo 0,70% del Rnl, (reddito nazionale lordo). Si tratta di una riferimento che si ripete ogni anno, tale e quale in ogni Def, senza mai tradursi in cifre e date nelle successive leggi di bilancio che hanno continuato a sottostimare l’azione internazionale per lo sviluppo, nonostante i Piani Marshall e i Piani Mattei annunciati con roboanti proclami ma rimasti tali, puri e semplici annunci. Le organizzazioni di cooperazione e solidarietà internazionale hanno lanciato la Campagna 070 chiedendo che sia garantita in merito coerenza politica, con la definizione certa degli aumenti annuali fino a giungere allo stanziamento dello 0,70% del Rnl entro il 2030 per gli aiuti e la cooperazione allo sviluppo. Pur sapendo, comunque, che le regole di contabilizzazione adottate dall’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), a cui anche l’Italia si riferisce, considerano aiuti per lo sviluppo dei Paesi meno favoriti anche i costi per l’accoglienza in Italia dei rifugiati e richiedenti asilo, al pari delle iniziative per la lotta alla povertà, la sicurezza alimentare, l’educazione, la salute, le risposte ai cambiamenti climatici, la maggiore equità globale. È un utile ma anche umiliante stratagemma per gonfiare le cifre pur disimpegnandosi. “Gli impegni devono essere onorati” si sta ripetendo nel Governo a proposito dell’aumento della spesa per la Difesa. Sarebbe vergognoso se un impegno come quello della cooperazione e solidarietà internazionale non fosse un “impegno da onorare”, attuando concrete i ripetuti e ingannevoli proclami.

Di seguito, il testo “Aiuto pubblico allo sviluppo (aps)” nel Documento di Economia e Finanza 2023

“Nel 2021 l’APS italiano, ovvero l’insieme dei flussi finanziari provenienti da Istituzioni pubbliche italiane destinati a promuovere lo sviluppo economico e il benessere di Paesi e territori in via di sviluppo, è stato pari a 5,2 miliardi (pari allo 0,29 per cento del Reddito Nazionale Lordo, RNL). L’importo, calcolato sulla base delle erogazioni notificate da 64 enti italiani, rappresenta un importante incremento rispetto al risultato del 2020 e del 2021 (pari allo 0,22 per cento all’anno). A determinare l’aumento del 2021 hanno contribuito la cancellazione del debito in favore della Somalia (per circa 530 milioni), l’aumento dei contributi concessi dal MEF a banche e fondi di sviluppo (oltre 673 milioni) e quello dei costi sostenuti dal Ministero dell’Interno per l’accoglienza dei rifugiati e dei richiedenti asilo (anch’essi in larga parte contabilizzabili come APS e passati da poco più di 200 milioni a oltre 470 milioni). Il Governo conferma l’intenzione di un allineamento dell’Italia agli standard internazionali in materia di APS, impegnandosi in un percorso di avvicinamento graduale all’obiettivo dello 0,7 per cento del RNL fissato nel 2015 dall’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile. Al riguardo, si ribadisce l’esigenza di favorire, in una prospettiva pluriennale, graduali incrementi degli stanziamenti assegnati alle amministrazioni dello Stato per interventi di cooperazione allo sviluppo, in linea con quanto previsto dall’articolo 30 della Legge n. 125/ 2014, con particolare riferimento alle risorse allocate al Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale (MAECI) per attività di cooperazione allo sviluppo. Al contempo, si riafferma la necessità di promuovere un maggiore coordinamento delle politiche pubbliche nel settore della cooperazione internazionale, con l’obiettivo di migliorare l’efficacia, la qualità e la coerenza dell’azione dell’Italia in tema di APS valorizzando, in particolare, gli strumenti previsti dalla Legge n. 125/2014”.
(Testo del Focus “Aiuto Pubblico allo Sviluppo (Aps)” nel Capo V, Azioni intraprese e linee di tendenza, alla pagina 138).

Nel triennio 2023-2025 sono però programmati tagli nell’ambito della riforma della revisione della spesa prevista dal Piano nazionale di ripresa e resilienza. Il Ministero degli Affari Esteri e Cooperazione Internazionale subirà tagli di spesa per la missione “L’Italia in Europa e nel mondo” pari a 49,2 milioni nel 2023, 76 nel 2024, 94,9 nel 2025. (Tavola VI.1 e VI.2: “Obiettivi di risparmio del ministeri” e “Riduzioni di spesa per missioni” 2023-2025 – pag. 146 e 147).

Immigrazione e asilo

Il Def non dà alcuno spazio all’immigrazione. Che invece dovrebbe averne, almeno proporzionalmente all’impegno politico governativo sulla materia, che presumibilmente richiederà sempre maggiori impegni – e costi – a livello interno e internazionale. Per il Def esistono solamente gli “effetti umanitari della guerra in Ucraina”, come se non vi fossero al mondo altre guerre e non esistessero altri effetti umanitari. Stando al Def sembra che il Governo si sia messo una benda agli occhi, togliendosela solo per mantenere lo sguardo fisso su una singola operazione umanitaria, quella a favore dei rifugiati ucraini in Italia. Un’operazione che nel complesso è stata molto positiva, ha mostrato il volto solidale degli italiani, ha dato preziose indicazioni sulla possibilità e capacità del nostro paese di accogliere in modo umano, inserendo le persone accolte nei territori, nelle comunità e nei sistemi scolastico, sociale, sanitario, del lavoro, della cittadinanza, assicurando a tutti dignità. Il Def ne parla a ripetizione. “A più di un anno dall’inizio del conflitto in Ucraina, il costo umanitario della guerra continua a crescere” (pag. 1), con uno specifico Focus (pag. 18) e l’esplicitazione dei provvedimenti e delle misure adottate. “Specifiche disposizioni hanno permesso la finalizzazione di ulteriori risorse per assicurare l’accesso alle prestazioni sanitarie a seguito dell’accoglienza umanitaria derivante dalla crisi in Ucraina” (pag 115); “interventi per garantire la protezione temporanea per le persone provenienti dall'Ucraina” (pag 139); “proroga, fino al 31 dicembre 2023, di alcune misure di assistenza e accoglienza dei profughi ucraini già previste da precedenti disposizioni” e “per l’anno 2023 sono state autorizzate le risorse per il finanziamento dei centri destinati all’accoglienza dei profughi ucraini nonché quelle destinate alle attività di assistenza nei confronti dei minori non accompagnati” (pag 140).

Colpisce profondamente il contrasto con l’altra accoglienza, quella ignorata, quella “diversamente garantita” a chi proviene da altre guerre e persecuzioni, persone forse non bianche e non cristiane ma ugualmente bisognose di aiuto, di accoglienza, di calore umano. Sempre nell’ambito della revisione della spesa, il Def prevede tagli anche per la Missione “Immigrazione, accoglienza e garanzia dei diritti”: -9,8 milioni per il 2023; -32,2 per il 2024; -67 per il 2025.

Qualche curiosità. La parola rifugiati è usata solo in relazione all’Ucraina e ai fondi del ministero dell’Interno contabilizzati come aiuto allo sviluppo. Africa è citata solo a proposito del Covid in relazione agli altri continenti. Integrazione è usata una sola volta in relazione ai programmi nazionali di riforma dei paesi dell’Unione Europea. L’abusata Nazione esiste solo inserita nelle parole into-nazione, vacci-nazione, elimi-nazione, combi-nazione, ema-nazione, determi-nazione, illumi-nazione, asse-gnazione, ridetermi-nazione, mentre il termine Paese domina in tutto il Def.

Quando si riferiscono al debito dell’Italia, le cifre del Def non possono però ignorare l’immigrazione. I numeri costringono a guardare la realtà, quella vera, non quella raccontata. Il grafico a pagina 125 rappresenta l'impatto dell'immigrazione sul debito pubblico da ora al 2070. Tre sono gli scenari: A) se la situazione rimane stabile, il debito pubblico italiano aumenterà di circa 10 punti di Pil; B) facendo diminuire l’immigrazione del 33% (un terzo) rispetto al numero attuale, il debito pubblico salirà al 200 per cento del Pil (oggi è al 145%); C): se l'immigrazione aumenta del 33%, il debito pubblico scende sotto il 130 per cento del Pil. Questa è la realtà. Una realtà che quella benda sugli occhi impedisce di vedere nella sua convincente limpidezza.

Nino Sergi* presidente emerito Intersos, policy advisor Link2007

Credit foto: Agenzia Sintesi


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