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Questione di feeling? Sì, ma anche di reporting

Come possono stare insieme una passione innata per i temi ambientali e una competenza forte sui numeri, le misurazioni e i bilanci? Lo scopriamo nella sesta puntata della nuova rubrica di VITA, assieme a Filippo Bocchi, direttore valore condiviso e sostenibilità del Gruppo Hera. Con uno sguardo altrettanto appassionato verso una terra super resiliente come l’Emilia Romagna

di Nicola Varcasia

La prima azione è stata quella di ripristinare il servizio dell’energia nelle zone più colpite. Ora è in corso un immane lavoro per lo smaltimento dei rifiuti. Un momento… Le interviste di questa rubrica dedicata ai Volti della sostenibilità non toccano direttamente la stretta attualità. Giunti alla sesta puntata, in compagnia di Filippo Bocchi, direttore valore condiviso e sostenibilità del Gruppo Hera, occorre fare un’eccezione. La multiutility opera infatti in Emilia Romagna, dove da circa un mese si lavora senza sosta per riparare i danni dell’alluvione che ha avuto il suo picco il 16 e 17 maggio scorsi. La conversazione non può avviarsi che da quei giorni.

Come vanno le cose?

Siamo stati travolti da questa emergenza inedita. Le nostre persone sono state in prima linea giorno e notte per farvi fronte, in particolare per la riattivazione dei servizi idrici ed energetici essenziali. Internamente, abbiamo attivato anche numerose iniziative di solidarietà per i colleghi che hanno perso l’abitazione.

E adesso?

Va decisamente meglio, ma ci vorranno dei mesi per recuperare e smaltire l’enorme quantità di rifiuti causata dal disastro, pari a quella di dieci mesi di vita normale.

Abbiamo assistito a un evento eccezionale anche dal punto di vista climatico, lei come si è avvicinato e giudica questi argomenti?

Ho una passione innata per le tematiche ambientali, volevo persino fare la tesi di laurea sulle conseguenze economiche dell’effetto serra, quando l’economia ambientale era una materia poco studiata e la sostenibilità ancora meno. Mi sono rifatto in seguito.

In che modo?

Lavorando per una società di consulenza, qui a Bologna, che è stata tra le prime ad occuparsi di reporting di sostenibilità, già a metà anni Novanta. All’epoca, ad approcciare questi temi erano principalmente le cooperative e le società municipalizzate dei servizi pubblici locali. Ho perciò iniziato a fare consulenza affrontando sul campo le implicazioni economiche dei temi sociali e ambientali.

Quando l’approdo nel Gruppo Hera?

Nel 2005, la multiutility in cui ero passato dopo l’esperienza in consulenza è confluita nel Gruppo Hera. Qui ho avuto l’occasione, che ho sempre ritenuto incredibile dal punto di vista professionale, di avviare la funzione di Corporate social responsibility riportando direttamente all’amministratore delegato. Ciò mi ha consentito di specializzarmi nel controllo di gestione degli aspetti ambientali e sociali.

Per cosa ricorda questo inizio?

Per l’impostazione del lavoro, rivelatasi lungimirante. All’epoca, parliamo del 2007, ci è stato chiesto di redigere il report di sostenibilità negli stessi tempi del bilancio economico quando per le grandi imprese italiane sarebbe divenuto obbligatorio solo dieci anni dopo. Al tempo stesso, il nostro compito era di creare una cultura aziendale che rendesse più evidenti i valori e il codice etico, che venivano posti alla base degli stessi strumenti di pianificazione e controllo. È stato un passaggio essenziale per abilitare l’azienda al cambiamento.

Perché la rendicontazione di sostenibilità è così importante?

Per la trasparenza nella trasmissione delle informazioni verso l’esterno ma, soprattutto, per aumentare la consapevolezza all’interno dell’azienda e migliorare le performance. Quando era tutto su base volontaria, non era facile chiedere ai colleghi di monitorare un dato per renderlo pubblico, non ne capivano appieno le ragioni. Ma oggi il mondo è cambiato anche grazie ad alleati, per così dire, inaspettati.

A cosa si riferisce?

Abbiamo nella finanza un grande alleato del cambiamento.

In che senso?

Sebbene in modo ancora confuso e non lineare, gli investitori Esg, che sono la maggioranza tra i nostri interlocutori finanziari, sono tra i più grossi lettori del bilancio di sostenibilità del Gruppo. Soltanto cinque anni fa non l’avrei pensato.

Cosa è cambiato nel vostro approccio negli anni?

Abbiamo percorso molta strada. Il passaggio principale è stata l’adozione nel 2016 della prospettiva della creazione di valore condiviso o shared value, secondo la nota visione di Porter.

Che cosa significa questo per un’azienda?

In generale, vuol dire usare la forza delle imprese per risolvere i problemi del pianeta e delle persone, creando valore per gli azionisti e simultaneamente per la società e l’ambiente, seguendo ciò che esprime l’agenda Onu 2030. Per noi questo ha significato ridefinire lo scopo dell’azienda, quello che oggi viene chiamato purpose, modificando nel 2021 anche lo Statuto e, in base a questa profonda riflessione, porre degli obiettivi precisi, misurati e misurabili, lungo tre pilastri.

Quali?

Perseguire la neutralità di carbonio nei territori e per i clienti, contribuire alla rigenerazione delle risorse in un’ottica di economia circolare e stimolare la resilienza che, in questo periodo, ha voluto dire garantire la continuità dei servizi in situazioni estreme e complicate.

Cosa è cambiato con la prospettiva della creazione di valore condiviso?

La mission di una utility come Hera è sempre stata quella di portare l’energia in tutte le case e fornire servizi di pubblica utilità. Ora, però, nel suo “perché” c’è qualcosa in più: aiutare e abilitare la transizione ecologica.

Ad esempio?

Non ci basta più raccogliere i rifiuti, ma occorre lavorare per minimizzarne la quantità destinata alla discarica, aiutando anche le imprese a crearne di meno. Sul fronte della neutralità di carbonio, l’impegno non è solo a vendere energia, ma a privilegiare sempre più quella proveniente da fonti rinnovabili, dare impulso al risparmio e alla compensazione delle emissioni CO2: valore condiviso per noi significa dunque dare una spinta a cambiare i modelli di business.

In tutto questo… qual è il ruolo per chi si occupa di sostenibilità?

Per definizione, il sustainability manager non si trova mai nella sua zona di comfort, soprattutto perché nei primi anni si occupava di qualcosa di non propriamente mainstream. Ora è diverso, ma resta fondamentale ricevere un commitment dall’alto, perché le asticelle delle sfide si alzano continuamente.

Qual è una funzione distintiva di cui si occupa il suo team?

La squadra che ho il piacere di guidare è composta da 10 persone, suddivisa tra chi fa reporting e chi fa sviluppo e sovrintende all’aggiornamento del codice etico. C’è poi una funzione che si occupa di balanced scorecard che probabilmente è il nostro elemento distintivo.

Che cos’è?

È un sistema di misurazione delle performance delle persone collegato al sistema incentivante. Prevede che negli obiettivi individuali della remunerazione variabile dei manager debbano figurare anche elementi di sostenibilità e di creazione di valore condiviso.

Ci fa qualche esempio?

Troviamo la percentuale di vendita di energia rinnovabile, quella di clienti che hanno adottato almeno una nostra soluzione di efficienza energetica, l’incremento della raccolta differenziata e del riciclo, così come la produzione di biometano e i progetti sull’idrogeno, che ci impegnano sul tema dell’innovazione.

Quanto pesano gli obiettivi di sostenibilità?

Fatta 100 la remunerazione variabile del management, il 37% è influenzato da obiettivi di sostenibilità e il 24% dalla creazione di valore condiviso. La loro misurazione sintetica dipende dal margine operativo lordo (Mol) a valore condiviso.

Urge una spiegazione per i non addetti ai lavori.

Certamente. È un calcolo per verificare quanto del margine prodotto dal Gruppo Hera provenga da attività che generano simultaneamente benefici ambientali e sociali, rispondendo alle sfide dell’agenda Onu 2030. Nel 2016 eravamo al 33%, adesso al 52%, con l’obiettivo al 2030 di arrivare al 70%.

Si ottiene solo ciò che si misura?

Tutti noi che facciamo sostenibilità in azienda sogniamo un futuro migliore e ci sentiamo un po’ abilitatori del fatto che questi sogni possano diventare realtà. Perciò vado piuttosto fiero di aver contribuito a costruire un metodo di misurazione che permette di integrare la sostenibilità nei processi aziendali per creare valore condiviso.


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