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Lampedusa, quando finirà questa strage?

"Era il 21 ottobre quando due bambini di uno e tre anni sono arrivati morti ustionati in porto, il 25 ottobre è toccato a due gemelline di 28 giorni che viaggiavano con mamma e papà e avevano ai polsi ancora il braccialetto della nascita, tra il 9 e il 10 novembre ad arrivare morto di freddo è stato il piccolo Godan che aveva soltanto 21 giorni ed era in braccio alla sua mamma, una ragazza di 19 anni della Costa D’Avorio". Il nostro Alessandro Puglia rivive queste ultime settimane di dolore

di Alessandro Puglia

Nell’atmosfera che precede il Natale, nella luce di una stalla dove Gesù bambino nasce povero in una mangiatoia, il pianto delle madri che piangono i loro figli morti nelle traversate del Mediterraneo al porto di Lampedusa dovrebbe scuotere ogni coscienza per porre fine a quella feroce strage degli innocenti a cui i governi europei assistono inermi da troppi anni ormai.

«Caino, dov’è tuo fratello?» ricordava Papa Francesco nel suo primo viaggio da pontefice a luglio del 2013 da Lampedusa, qualche mese dopo era il 3 ottobre 2013, 368 persone morivano a poche centinaia di metri dall’isola dei Conigli. Da quella strage nacque l’operazione Mare Nostrum che permise di salvare centinaia di migliaia di vite umane, dopo il nulla se non un’accanita criminalizzazione nei confronti delle navi della società civile da cui quest’anno sono sbarcati in Italia soltanto il 14 percento degli oltre 90 mila migranti arrivati in Italia.

A Lampedusa, lontano dai riflettori, continuano a sbarcare ogni giorno a qualsiasi ora centinaia di naufraghi. Bambini senza vestiti, infreddoliti, genitori che piangono i loro figli morti di freddo o dispersi in mare. In due mesi al molo Favarolo abbiamo assistito ancora una volta alla strage degli innocenti. Era il 21 ottobre quando due bambini di uno e tre anni sono arrivati morti ustionati in porto, il 25 ottobre è toccato a due gemelline di 28 giorni che viaggiavano con mamma e papà e avevano ai polsi ancora il braccialetto della nascita, tra il 9 e il 10 novembre ad arrivare morto di freddo è stato il piccolo Godan che aveva soltanto 21 giorni ed era in braccio alla sua mamma, una ragazza di 19 anni della Costa D’Avorio.

Dov’è ora quella povera madre? Chi si prenderà cura di lei? Stephanie così si chiamava l’abbiamo vista piangere al molo di Porto Empedocle soltanto la settimana scorsa, il suo corpo chinato sulla piccola bara bianca sorretta da un medico del ministero della Salute.

Non sono trascorsi neanche sette giorni e ieri attraverso lo scatto di un’operatrice presente al molo abbiamo visto un’altra madre piangere uno dei suoi figli disperso in mare insieme ad altre venti persone mentre un'altra bimba di sei mesi perdeva la vita all’interno dell’hotspot dopo essere sbarcato. Chi si prenderà ora cura di queste donne?

Come nei versi di Matteo sembra compiersi ciò che era stato detto per mezzo del profeta Geremia: “Un grido è stato udito in Rama, un pianto senza fine, Rachele piange i suoi figli e non vuole essere consolata” . È il dolore più profondo quello della donna descritta nella Genesi che prima di morire chiama il figlio appena partorito Ben-Onì, cioè “figlio del mio dolore”.

Lacrime che potrebbero seminare una speranza oggi racchiusa soltanto in quelle mani di medici, operatori, militari che sorreggono quelle donne stravolte dal dolore al molo Favarolo. Quando finirà la strage? Chi è Erode nel nostro tempo?

Così ancora piange Rachele, così piange Maria, così avvolte in un telo termico piangono le mamme dei bimbi morti a Lampedusa.


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