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L’incontro con Testori? Ecco come andò e cosa ne è nato

Al Meetingi di Rimini il ricordo di Testori di Riccardo Bonacina, giornalista, Emilia Guarnieri tra i fondatori del Meeting e per anni presidente della Fondazione Meeting per l'amicizia tra i popoli e Angela Dematté, attrice. Qui vi proponiamo l'intervento di Riccardo Bonacina

di Riccardo Bonacina

Il video che ha aperto l’incontro sul centenario testoriano al Meeting per l’amizia fra i popoli del 2023 è quello dell’intervento di Testori al Meeting del 1989: “Cl non mi ha preso per teorie ma mi ha preso quando sono venuti tre o quattro a trovarmi, per una tenerezza che gran parte della società anche cristiana ha buttato via per inseguire uno stramorto progressismo”. Nella Sala Neri in Fiera a Rimini dove ha luogo uno dei primi incontri di questo meeting “Un’amicizia che apre al mondo. Giovanni Testori nei 100 anni della nascita”, la sua voce prosegue: “La cosa che mi ha fatto più dolcezza è vedere quanti giovani ci lavorano da chi lo costruisce e chi lo mette in atto a chi è lì e portano in auto, tutto gratuitamente, questa offerta di sé”. Davide Dall’Ombra, direttore dell’Associazione culturale Casa Testori, chiede ai suoi ospiti, Riccardo Bonacina, giornalista, Emilia Guarnieri tra i fondatori del Meeting e Angela Dematté, attrice: “Come si arriva a quel 1989?”, E a chi l’ha conosciuto dopo la sua morte, l’attrice Dematté, “Cosa significa incontrare Testori dopo Testori?”.

Qui pubblichiamo l’intervento di Riccardo Bonacina

Cl non mi ha preso per teorie ma mi ha preso quando sono venuti tre o quattro a trovarmi, per una tenerezza che gran parte della società anche cristiana ha buttato via per inseguire uno stramorto progressismo

— Giovanni Testori

Grazie per l’invito, grazie davvero perché ogni volta che mi è chiesto di ricordare quel primo incontro non posso che meravigliarmi e ancora stupirmi guardando ai frutti così così esagerati e inattesi che seguirono un gesto semplice e ingenuo di un gruppetto di universitari nei primi giorni di primavera del 1978. Provo a raccontarvi quell’inizio

1. Don Giussani ci invitava a dire le preghiere e a leggere i giornali ogni mattina, così imparate a giudicare la realtà e dopo esservi posti in una posizione giusta di fronte al mistero e al mondo, non vivrete con la testa nel sacco. Per questo un gruppo di noi faceva la rassegna stampa ogni mattina.

Gli articoli di Giovanni Testori, editorialista del Corriere della sera ci colpivano spesso, ma quando la mattina del 20 marzo 1978, tre giorni dopo il rapimento Moro e l’assassinio degli uomini della scorta, leggemmo il suo articolo intitolato “La realtà senza Dio” rimanemmo senza fiato perché esprimeva ciò che confusamente sentivamo. Ecco l’inizio di quell’articolo (lo trovate nella raccolta “La maestà della vita”):

Quando, lungo la giornata di giovedì, presi nelle dure ombre di un’emozione sotto cui non volevamo che le nostre responsabilità venissero minimamente a cedere, abbiamo letto i giornali e seguito la televisione; e quando, l’indomani, abbiamo aperto le pagine dei quotidiani, la cosa che più ci ha angosciati è che, nelle disamine dell’accaduto e nel mare di contrabbando retorico che quelle analisi ha accompagnato, non ci è stato concesso d’imbatterci in una sola domanda che recasse in sé il disperato bisogno d’una possibile spiegazione totale e, dunque, religiosa del punto in cui è arrivata la vita…”.

La sera di quello stesso giorno, in un lurido appartamento di universitari fuori sede vicino a San Siro proposi a due amici di andare a trovare questo scrittore, questo editorialista “quante volte ci siamo detti nelle nostre riunioni se avessimo potuto incontrare Giacomo Leopardi, ragionare con lui, ringraziarlo? Ecco, Testori sta in via Brera andiamo a incontrarlo”, questo fu il semplice pensiero, la mossa. Fu un gesto semplice andare a trovare un editorialista del Corriere della Sera che ci stupiva per i suoi commenti in prima pagina, le cui parole, a differenza di tutte le altre, avevano a che fare con la vita, specificamente con la nostra vita, le sue domande, le sue attese. Giovanni Testori commentava i fatti del giorno, la cronaca, parlando anche di noi.

Fu un gesto semplice andare a trovare un editorialista del Corriere della Sera che ci stupiva per i suoi commenti in prima pagina

— Riccardo Bonacina

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2. Quel primo pensiero , quella mossa, e poi incontro, divennero in breve tempo un rosario di incontri, di iniziative, una vera amicizia tra un gruppo di universitari e un intellettuale e scrittore “isolato”, isolato da tutte le congreghe di potere e di bottega. Un’amicizia che durò, e dura, perché nata da una vicendevole sorpresa. Quella di noi giovani universitari, e quella sua, di “maestro”. La sorpresa di un’amicizia che aveva a tema la passione per la vita e la realtà. Quel rapporto originò percorsi individuali e di gruppo, fu fucina di pittori, scrittori, giornalisti. Ci si trovava a ideare mostre, incontri e dibattiti, nacquero libri, riviste, un circuito di Centri culturali, un mensile Synesis, una compagnia teatrale gli Incamminati, si rivoltarono settimanali già in vita come “Il Sabato”, se ne immaginarono altri ancora come “Vita” ancora solo un’idea. La casa di Testori a Novate divenne presto un vero luogo di ritrovo, una scuola. Ascoltarlo significava imparare in modo vivo, affinava il nostro giudizio, soprattutto insegnava, a noi giovani del ’77, che cultura e vita sono originalmente impastate in modo inestricabile. Testori ci incoraggiava a osare la navigazione in mare aperto, proponendo una sfida per ciascuno di noi, accompagnandoci sino all’uscita dei nostri tranquilli porti delle nostre sicurezze e protezioni, invitandoci a non avere mai paura. «Di che avete paura?», diceva, «qui intorno è tutto un brodino. Un intreccio di piccoli interessi e scambi di prebende. Siete così pieni di vita, poi, il dono che avete ricevuto non è vostro, perciò di che vi spaventate».

3. È impossibile raccontare tutto quel che ne derivò, anche perché l’avventura non è ancora finita. Forse, è possibile segnalare ciò che di Testori e di questa amicizia più ha segnato tutto ciò che è seguito. Due grazie, tra gli infiniti grazie che dovrei dire.

Il primo grazie è perchè da lui ho imparato che è vietata la parola che non c’entra con la vita dell’uomo. Perché proprio lì, solo lì, nella realtà, è rintracciabile il segno creaturale, cioè il senso del nostro essere al mondo. Il racconto di Testori, durante tutti i 15 anni di frequentazione, a me è parso sempre racchiuso tra uno dei primi episodi che gli ho sentito raccontare e una frase che mi capitò di raccogliere dalla stanzetta dell’ospedale San Raffaele per un’intervista per Raidue (ero autore e conduttore de “Il Coraggio di vivere”) il 22 gennaio 1993. Testori, per spiegare da dove gli nacque la passione per la parola, di una parola così impastata di vita, raccontava sempre un episodio capitatogli da bambino. Una sera, raccontava, a Lasnigo, andando con la mamma a fare la spesa, il piccolo Testori incrociò un uomo legato con una catena tra due carabinieri. Incrociando il suo sguardo, l’uomo disse qualcosa, forse ciao. E quand’era più lontano, siccome continuava a guardarlo, lui si voltò e ancora disse qualcosa aprendo la bocca. «Ecco», ne concludeva, «io ricordo quella sua bocca ogni giorno e penso: cosa m’avrà detto? Che cosa posso fare io perché questa bocca che si è aperta sulla faccia di un uomo che veniva portato in prigione non morisse? Non venisse diminuita? Qual era la parola? E io cosa potevo fargli dire?».

Qualcosa di simile mi disse durante un’intervista raccolta nel periodo della malattia al San Raffaele: Testori commentò così le immagini di bambini denutriti e in fin di vita che giornali e tv usavano per raccontare la terribile carestia nel Corno d’Africa: «Quelle immagini terribili di bambini ci giudicano. Io mi immagino di rincontrare in cielo quei volti scavati e ci chiederanno ragione della nostra spensieratezza, della menzogna delle nostre parole e della nostra vita. Quei bambini solo apparentemente non parlano, le loro parole le sentiremo tutte il giorno del giudizio». Oggi Testori direbbe cosa stanno dicendo quei bambini ucraini deportati?, e l’infanzia che cresce nei campi profughi? Cosa stanno dicendoci i 24 mila morti nel Mediterraneo in 10 anni e dei morti di Cutro, o nel nord Africa? Che parole direbbe, come li farebbe parlare?

«Basta amare la realtà sempre e in tutti i modi, fuggite le astrazioni», ammoniva Testori che è stato un grande combattente contro le astrazioni. La verità non ha altro luogo, altra casa che non sia la realtà, la vita dell’uomo. «Fate parlare la realtà, la vita, cercatela lì la parola, fatela scaturire da lì». Fu così che mi incoraggiò nel tentativo che avevo in animo di fondare un giornale che avesse proprio quella parola, VITA, come titolo, testata. Vita senza articoli e aggettivi, vita nella sua sostanza creaturale e personale.

Il secondo grazie per avemi insegnato cos’è la libertà, con lui imparammo che la libertà che deriva da un unico e più grande e umile sì all’unica e sola necessaria dipendenza. «Libero sempre non è il pensier liberamente espresso»; Testori, vero indipendente, ribelle, contestatore di ogni congrega, disdegnatore di qualsiasi incarico, irregolare, amava citare questo verso dell’Alfieri per specificare cosa fosse la libertà, da dove scaturisse la libertà nel lavoro, nella vita. «Non svendetevi, non svendete la vita, la vostra e quella di chi incontrate, non svendete il pensiero e le parole, prendetevi tutte le libertà che solo il sì all’unico grande mistero vi permette di prendervi».

“L’amicizia è questo rapporto senza dipendenza in cui entra tutta la vita”

— Maurice Blanchot

4. Maurice Blanchot con felice intuizione ha scritto che “L’amicizia è questo rapporto senza dipendenza in cui entra tutta la vita”. Una storia che ha avuto un abbrivio così fulminante e intenso non aveva altro riparo o garanzia che non fosse la volontà dei suoi protagonisti di restare fedeli a quell’impronta iniziale, a ri-sceglierla individuandone il fuoco originale sotto la cenere che il tempo inevitabilmente deposita.  A partire da Giovanni Testori, non solo padre di tanti di noi, ma capace di farsi figlio del suo stesso iniziare


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