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Numeri verdi e centri dedicati, le prime risposte per gli orfani di femminicidio

Sono più di 2mila i bambini e i ragazzi che hanno perso la mamma per un femminicidio. Vittime invisibili, senza ascolto, senza servizi strutturati, senza presa in carico. Un anno fa Vita accese un faro su di loro, raccontando alcune storie e gli obiettivi dell'intervento da 10 milioni di euro finanziato dall'impresa sociale Con i Bambini per dare risposte adeguate, in tutta Italia, ai loro bisogni. A un anno dall'avvio dei quattro progetti, le cose sono cambiate: ecco come

di Sabina Pignataro

Gli inglesi hanno una metafora molto efficace per indicare una verità evidente e ingombrante che tutti conoscono e percepiscono, ma che fingono di non vedere. Parlano di “an elephant in the room”, un elefante nella stanza. Quando, il 25 novembre di un anno fa, Vita aveva pubblicato l'inchiesta sugli orfani di femminicidio, giovani e i giovanissimi che hanno perso la mamma per mano del padre o del compagno di lei, la loro esperienza era stata paragonata proprio a questo elefante nella stanza: il lato della violenza domestica che ancora ci ostiniamo ad ignorare, nonostante le sue dimensioni e la sua evidenza.

A dodici mesi di distanza pensiamo che quella metafora non sia più adeguata: ogni giorno si fa sempre piu evidente il fatto che non si possa affrontare il tema del femminicidio (nelle sue premesse come nelle conseguenze) senza guardare negli occhi anche loro, i figli delle vittime, e farsi carico e cura dei loro vissuti, delle loro esperienze, dei loro bisogni.

L'ebook “A braccia aperte. Un faro acceso sui figli delle vittime di femminicidio”, (scaricabile gratuitamente dallo store di vita.it a questo link) raccontava le loro storie tremende: storie di dolore, solitudine e rabbia. Storie di figlie e figli trattati (e trascurati) spesso come se fossero figurine di contorno, lo scialbo fondale di un palcoscenico troppo affollato.


"A braccia aperte" è anche il nome di un intervento promosso dall'impresa sociale Con i Bambini (qui) nell’ambito del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile istituito dal sistema delle fondazioni di origine bancaria di Acri, dal Governo e dal Terzo settore. L’iniziativa che è finanziata con una dotazione di 10 milioni di euro da destinare a progetti che possano davvero contribuire a rendere migliore la vita di centinaia di ragazzi.


Un anno dopo, siamo andati a vedere cosa è stato fatto nei territori, grazie a questi quattro progetti: Airone nel Centro Italia; S.O.S. Sostegno Orfani Speciali in Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta; Re.S.P.I.R.O, nelle regioni del Sud Italia e Orphan of Femicide invisible Victims in Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lombardia. Un anno di attività non è molto per interventire pressoché da zero su un tema del genere, ma neanche poco: i quattro progetti finanziati hanno imbastito una serie di iniziative che ambiscono davvero a contribuire a rendere migliore la vita di centinaia di ragazzi.

Due numeri a cui chiedere aiuto

Inanzitutto sono stati creati due numeri a cui chiedere aiuto: l’800 99 00 44, il numero verde dedicato agli orfani di femminicidio e alle famiglie affidatarie residenti nel Lazio, Abruzzo, Marche, Molise, Toscana ed Umbria (disponibile 7 giorni su 7, dalle ore 09.30 alle 13 e dalle 15 alle 20) e il numero per le emergenze 366-4607803 attivo 24 ore su 24.
A Torino è stato inaugurato il Centro S.O.S., un luogo fisico dove orfani e orfane di femminicidio – e le famiglie a cui sono affidati – troveranno ascolto e saranno sostenuti nel percorso di superamento del trauma e di ricostruzione.

In Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Veneto e Trentino Alto Adige sono stati avviati dei Focal Point regionali, punti di snodo e coordinamento, oltre che di prima accoglienza, che saranno attivi e in prima linea non appena si verifica un femminicidio proprio in quei territori.

In questi dodici mesi inoltre tutti e quattro i progetti hanno avviato un’intensa formazione per gli operatori che avranno il compito di accogliere e accompagnare gli orfani e le famiglie affidarie.

La parola agli orfani

Il 20 novembre inoltre è andato online "Respiro", il podcast ideato da Terre des Hommes e scritto da Roberta Lippi, che in 6 puntate con grandissima delicatezza racconta storie degli orfani di femminicidio e delle famiglie che si sono prese cura di loro: lo fa evitando sensazionalismi, affinché si possa ridare il giusto peso alla loro drammatica esperienza e comprendere l’importanza che ha prendersi cura, da subito, di chi resta.

Un altro passo avanti compiuto in questo anno risiede nel fatto che molti orfani abbiano deciso di raccontare la propria esperienza. Lo ha fatto Francesca Nifosi (che oggi ha 55 anni, ed è orfana da quando ne aveva 3) che ha raccontato cosa vuol dire vivere nel silenzio il proprio dolore e trovare da sé la resilienza necessaria per guardare avanti; Carmelo Calì (che ha adottato i tre figli di Marianna Manduca, nonostante avesse già altri tre suoi figli) che ha raccontato cosa vuol dire decidere in poche ore se adottare bambini orfani o lasciare che vengano affidati ad una casa famiglia. Lo ha fatto spesso anche Giuseppe Delmonte. Aveva 18 anni quando suo padre uccise sua mamma Olga. Oggi ne ha 45 e dopo un lungo silenzio durato anni ha scelto di far sentire la sua voce a sostegno di tutti gli orfani e le orfane di femminicidio: «Perché non siano più lasciati soli ad affrontare un simile dolore come è successo a me. Il senso di abbandono istituzionale è stato pazzesco», ricorda. «Lo Stato non è riuscito a salvare mia madre ma non è riuscito nemmeno a tutelare me di fronte alle violenze subite». Ha continuato a farlo con tenacia Vera Squatrito, mamma di Giordana Di Stefano, la 20enne uccisa il 6 ottobre di sette anni fa con 48 coltellate dall'ex fidanzato.

Sentire la loro voce, poterli ascoltare, riconoscergli il diritto di urlare o sussurrare il proprio dolore non è cosa di poco conto. Fino a qualche mese fa, le testimonianze più importanti era state solo quelle raccolte da Stefania Prandi nel libro “Le conseguenze. I femminicidi e lo sguardo di chi resta” (Settenove).

Ancora oggi i figli delle donne vittime di femminicidio vengono chiamati “orfani speciali”, riprendendo la definizione che coniò Anna Costanza Baldry, compianta docente di psicologia sociale e giuridica all’Università Luigi Vanvitelli di Napoli. Baldry fu la prima ad occuparsi dei loro vissuti, in collaborazione con la rete nazionale dei centri antiviolenza D.i.re. nel 2015. Nel 2017 pubblicò il libro Orfani Speciali (FrancoAngeli), con il contributo di Vincenza Cinquegrana, Camillo Regalia e Carla Garlatti, quest’ultima oggi Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza e all’epoca presidente del Tribunale per i minorenni di Trieste. Per molti versi fu una rivelazione.

Oggi non si può più affermare che gli orfani siano del tutto invisibili. I quattro progetti finanziati da Con i Bambini hanno destinato parecchie risorse alla formazione dei professionisti (forze dell’ordine, avvocati, giudici, psicologi e assistenti sociali). Il prossimo passo, urgente ed importante, è quello di accrescere la consapevolezza sugli effetti che la violenza di genere ha anche sul mondo emotivo, affettivo e psichico dei figli di queste vittime.

Photo by Verne Ho on Unsplash


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