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Razzismi 2.0, ecco come riconoscerli e affrontarli

Lo spiega in un libro denso di esperienze ed analisi il giornalista e ricercatore sociale Stefano Pasta: "Sono fenomeni in crescita ed è urgente promuovere un pensiero critico diverso. Prima ancora delle leggi, è importante l'approccio educativo che può essere messo in campo"

di Daniele Biella

Il linguaggio d’odio sul web, i commenti razzisti, il cyberbullismo a sfondo xenofobo: sono emergenze? Sì. “Chiamiamoli razzismi, al plurale, perché sono di diverse tipologie, ma sicuramente sono un fenomeno che va affrontato”, spiega Stefano Pasta, giornalista, docente universitario e ricercatore sociale autore del libro uscito da poco Razzismi 2.0 – Analisi socio-educativa dell’odio online (Schole Morcelliana 2018, 220pp, 20 euro). Un testo dove la narrazione di episodi, esperimenti sociali e il successivo loro inquadramento sociologico riesce a dare un quadro completo di quello che è “un potenziamento della realtà, ovvero non è, come dice qualcuno, fuori dal reale solo perché virtuale: oramai il web è parte integrante delle nostre vite, che ci piaccia o meno”, sottolinea Pasta.

Pensato come testo per studenti universitari ma ottimo strumento anche per una divulgazione più generale, affronta il tema dell’odio dal punto di vista del mondo digitale “dove i meccanismi di discriminazione possono essere comunque simili alla realtà”. Un esempio a cui il giornalista – che insegna a contratto Didattica e pedagogia speciale all’Università Cattolica di Milano oltre a fare parte del Cremit, Centro di Ricerca sull'Educazione ai Media all'Informazione e alla Tecnologia – dedica un capitolo del libro, in particolare affrontando quell’ ”effetto alone” (halo effect) che unisce tutte le persone che convergono i propri messaggi d’odio su uno specifico obiettivo, spesso facente parte di una minoranza. A pagina 86, per esempio, si parte dalla tragedia di una bimba di etnia rom di due anni folgorata da un cavo elettrico nella baracca in cui viveva con la famiglia e si analizzano i commenti sotto la pagina faceook di una testata online che riportava la notizia. “Commenti disumani, tanti”, da ‘una futura ladra in meno’ a ‘peccato solo una’ a ‘ogni tanto buone notizie’. “Il problema è che le tante persone che non la pensano come chi commenta in questo modo preferiscono non dire la loro per non avere ripercussione e offese a loro volta. Così facendo, lor malgrado, rimane il silenzio il dissenso civile ed è molto pericoloso perché la discriminazione si perpetua”.

Pasta, che è anche referente per Milano della Comunità di Sant'Egidio, ha scelto poi di entrare in dialogo con alcuni hater, in particolare sulla piattaforma Ask.fm in cui vige l’anonimato: per diverse settimane ha monitorato i post ed è entrato in relazione con alcuni ‘odiatori’, molti dei quali giovani. Il capitolo 3 del libro è dedicato a questi esperimenti e quanto ne esce.“Ti definiresti mai razzista?”, “Cosa ne pensi degli ebrei?”, chiede per esempio (pag. 103) il giornalista a un utente autore di commenti antisemiti. Ne nasce una discussione interessante dove si evince, per esempio, che l'utente in questione non ha mai conosciuto dal vivo una persona ebrea. “Il mio approccio, in conlcusione, è educativo, nel senso che stimolo la persona a riflettere su quello che scrive e, nei casi successivi, a pensarci più volte prima di scrivere un commento così discriminatorio, dettato dalla liberazione di impulsi interiori che purtroppo nascono dal fatto che il tabu sociale del razzismo è caduto e ora si parla apertamente di cose che fino a pochi anni fa non si sarebbero mai dette”, spiega Pasta. Sul web “ci si sente meno responsabili perché si è davanti a uno schermo, ma le ripercussioni sociali sono vere e lasciano segni profondi”.

Quali vie d’uscita, di fronte a scenari così preoccupanti? “Siamo usciti dal concetto della rete come spazio di libertà, abbiamo capito purtroppo che è un ambiente dove si può veicolare l’informazione che si vuole dare e quindi influenzare le persone: basti vedere gli scandali legati all’attività illecita di propaganda sui social network di gruppi con interessi politici – durante le elezioni statunitensi, per esempio – o interessi economici”, specifica Pasta. “Bisogna porsi dei limiti: le piattaforme che gestiscono la Rete devono assumersi più responsabilità di quelle attuali, regolamentando lo spazio virtuale il più possibile”. La difficoltà è che per definizione il world wide web è transnazionale, quindi difficilmente restringibile alle leggi di una singola nazione, tra l’altro diverse tra loro (“in Italia c’è la Legge Mancino contro l’apologia di fascismo, per esempio, mentre negli Usa associazioni xenofobe come quelle legate al KuKuxKlan possono fare campagna elettorale”). Ma secondo l’autore di Razzismi 2.0 “c’è una crescente consapevolezza. E dove non potrà arrivare la giurisdizione deve arrivare il lavoro educativo e culturale, soprattutto con le nuove generazioni. Si sta già facendo tanto, va fatto ancora di più”.


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