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Strage di Crotone, il crollo dei mediatori chiamati a “tradurre” il lutto

Un carico emotivo che può piegare perché fare il mediatore culturale, in un contesto così particolare, significa prima di tutto interagire con chi ha perso un familiare superando la barriera linguistica. Ciò, però, passa anche attraverso il fare proprio un dolore che diventa strazio nel momento in cui si realizza che questa tragedia è frutto di mera negligenza umana

di Gilda Sciortino

Comincia molto presto la giornata dei mediatori culturali al PalaMilone, il palazzetto dello sport di Crotone dove sono stati riuniti i corpi delle vittime del naufragio del 26 febbraio.

Comincia molto presto ma si conclude anche tardi, dopo che i familiari rientrano nelle stanze dell’albergo che li sta ospitando. Il loro non è un semplice lavoro di traduzione, ma un immergersi e vivere insieme a loro lo strazio dei familiari che devono riconoscere i loro cari senza avere la possibilità di salutarli fisicamente per l’ultima volta.

«Dobbiamo prepararli – spiega Salvatore Iozzo, mediatore culturale dell’associazione “Sabir” – e questo vuol dire prima di tutto superare lo scoglio linguistico. Sono quasi tutti afgani e parlano il farsi, lingua per la quale abbiamo una mediatrice, ma fortunatamente vengono da molti paesi dell’Unione Europea, quindi il dialogo è multilingue. Ognuno di noi segue contemporaneamente più famiglie, quindi il nostro lavoro comincia alle 9 ma, per esempio, io non torno a casa prima delle 21.30. Nessuno me lo chiede, ma per me è un impegno prima di tutto morale sapere di stare facendo tutto il possibile per aiutare chi sta vivendo un incubo. Raccogliamo le lacrime di madri, padri, fratelli, mogli che devono procedere al riconoscimento attraverso una semplice foto. È una gioia quando sono superstiti, ma il più delle volte sono vittime e la presenza dello psicologo al nostro fianco è fondamentale».

Un carico emotivo che si unisce a necessità di altro genere?

«A parte l’alloggio che abbiamo risolto perché, dopo la visita del presidente Mattarella, sono stati trasferiti dai B&B a un albergo, vogliono per esempio essere aggiornati sui tempi previsti per il trasporto delle salme. Se è uno strazio per noi vedere le bare allineate dentro il “PalaMilone”, pensate per loro che stanno qui ogni giorno in attesa di potere tornare a casa. Un dolore che ti trafigge, anche perché si reitera quotidianamente. Le famiglie stanno qui tutto il giorno, ritornano in albergo solo per dormire e la mattina tornando per stare insieme agli altri dentro la struttura allestita all’esterno. Un continuo tra dentro e fuori per non lasciare da soli i propri congiunti, pregando insieme per tutti loro. Ci sono, poi, persone che mancano all’appello, disperse, i cui familiari sono venuti perché chiunque sapeva che su quella barca c’era un parente, appena ha saputo dell’incidente, si è affrettato a venire».

Avreste anche voi bisogno di un supporto psicologico per evitare crolli come quello che ha avuto lei dopo uno dei tanti riconoscimenti.

«Da quattro giorno stavo lì dalla mattina alla sera e non avevo avuto il tempo di realizzare quello che era successo. Sono crollato nel momento in cui ho sentito e visualizzato che è stato tutto frutto della negligenza umana, Non che non lo sapessi, ma capire che quasi tutte le famiglie, poco prima del naufragio, avevano ricevuto il messaggio “Tranquilli, siamo arrivati”, è stato devastante, la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Non aiuta, inoltre, vede persone che svengono soccorse sfinite dall’ambulanza. Non potete capirlo, ma la commozione è grande. Siamo umani e non ci si può aspettare che si rimanga impassibili davanti a un’ingiustizia così grande».

Alzarsi la mattina e sapere di dovere tornare ad occuparsi di tanto dolore, Come ci si prepara?

Non credo di riuscire a rispondere a questa domanda.


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