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Cooperazione & Relazioni internazionali

Sunak e il Ruanda, un amore interessato e impossibile (per ora)

A fine giugno la Corte d'Appello britannica ha dichiarato illegale il piano del primo ministro britannico di inviare in Ruanda i richiedenti asilo entrati illegalmente in cambio di centinaia di milioni di sterline a Kigali. Ma il leader conservatore ora si appella alla Corte Suprema, che già a dicembre gli aveva dato un primo via libera in quella che è una battaglia legale che evidenzia tutte le contraddizioni di esternalizzare gli obblighi di asilo dei paesi ricchi verso quelli poveri

di Paolo Manzo

Il governo di Rishi Sunak ha ricevuto un duro colpo dopo che la Corte d'Appello britannica ha dichiarato illegale il suo controverso piano di espulsione in Ruanda degli immigrati che entrano attraverso la Manica senza i documenti in regola e poi chiedono asilo. Il progetto del primo ministro conservatore, simile a quello statunitense che usa il Messico come “sala d’attesa”, è che i migranti espulsi aspettino a Kigali l’approvazione o meno delle loro richieste di asilo.

Per il presidente della Corte d’appello inglese, Ian Burnett, che ha citato l'articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, a cui Londra aderisce, "nessuno può essere sottoposto a tortura o a qualsiasi punizione o trattamento degradante e disumano” e "le carenze nel sistema di asilo del Ruanda sono tali da ammettere che ci sono solidi motivi per credere che ci sia un rischio reale che le persone inviate in quel paese vengano rimandate nei loro paesi di origine e finiscano per subire persecuzioni o trattamenti disumani, quando in realtà avrebbero diritto a ricevere asilo”.

Insomma, Kigali "non è un luogo sicuro” ed ecco ribaltata la sentenza dell'Alta Corte del dicembre scorso che, invece, aveva dato luce verde al progetto di Londra, sostenendo che era "lecito per il governo trasferire i richiedenti asilo in Ruanda" per avere le loro domande "studiate lì invece che nel Regno Unito". Per i giudici supremi britannici, insomma, il trasferimento sarebbe stato "coerente con la Convenzione dei diritti umani sui rifugiati", così come con altri "obblighi legali di Londra”.

Ad impugnare la sentenza di dicembre sono stati diversi richiedenti asilo coordinati dall'ente benefico Asylum Aid che sono riusciti a dimostrare a due giudici d’appello su tre che a causa delle carenze del sistema "ci sono fondati motivi per credere che ci sia un rischio reale che le persone inviate in Ruanda vengano riportate nei loro paesi di origine, dove hanno affrontato persecuzioni" o "trattamenti disumani, quando, in realtà, hanno interposto una domanda di asilo.”

Ora Sunak ha una brutta gatta da pelare, anche perché nel pronunciarsi contro il suo piano, la Corte d’Appello ha citato l'opposizione al piano dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, l’Unhcr, secondo il quale la maggior parte dei profughi in Ruanda “vive in campi con accesso limitato ad opportunità economiche” e che "solleva preoccupazioni circa l'esternalizzazione degli obblighi di asilo dai paesi ricchi a quelli più poveri".

"Anche se questa è alla fine una decisione del sistema giudiziario britannico, non siamo d'accordo con la sentenza che il Ruanda non sia un paese sicuro per i richiedenti asilo e i rifugiati", ha replicato Yolande Makolo, portavoce del governo ruandese. Una reazione scontata, visto che il paese africano ha già ricevuto 140 milioni di sterline di finanziamento iniziale per implementare il programma dal governo Sunak. "Il Ruanda è uno dei paesi più sicuri al mondo", ha aggiunto Makolo.

Sunak, che è di origine indiana con il padre nato in Kenia e la mamma in Tanzania, ha annunciato che farà ricorso all’Alta Corte e vedremo nei prossimi mesi come si risolverà questa battaglia legale dai risvolti importanti non solo per i migranti, ma anche sul fronte interno. Il problema del primo ministro e dei Tories è che avendo appoggiato la linea dura sui clandestini, lo scorso anno ne hanno visti arrivare dalla Manica comunque più di 45mila. Poco rispetto ad esempio all’Italia ma pur sempre molti rispetto a quello che era stato il motivo principale del Brexit, ovvero bloccare gli ingressi illegali nel Regno Unito.

Oltre che da tutti i partiti di opposizione, che considerano il patto con il Ruanda “impraticabile" e " immorale”, critiche sono arrivate anche dai principali rappresentanti della Chiesa d'Inghilterra, 23 vescovi che detengono seggi nella Camera dei Lord, mentre leader religiosi di ogni confessione hanno inviato una lettera a The Times per denunciare “questa pratica che dovrebbe vergognarci come nazione". Tuttavia, con un'inflazione alle stelle e continui scioperi nel sistema sanitario nazionale – che sta attraversando la peggiore crisi della sua storia – Sunak non è disposto a cambiare posizione consapevole del peso politico che rappresenta per il suo elettorato, in vista delle prossime elezioni. Inoltre, proprio ieri, l'Ufficio per le statistiche britannico ha confermato che la migrazione netta è salita a 606.000 negli ultimi 12 mesi, la cifra più alta mai registrata, nonostante le numerose promesse dei Tories di ridurre i numeri del flusso.

Impassibile, dal canto suo, il presidente del Ruanda Paul Kagame, che spiegato invece così l'impasse: "il Regno Unito si è rivolto a noi e quando il loro caso giudiziario sarà risolto, processeremo le richieste d’asilo e queste persone se ne andranno poi ovunque vorranno”.

Foto Credit: UK Government


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