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Sostenibilità sociale e ambientale

Viaggio nel Belpaese dove lo sperpero è un fatto ‘comune’

Illuminazione artificiale scriteriata, aule scolastiche scaldate anche quando sono vuote, semafori poco intelligenti. Le eccezioni? Poche

di Elisa Cozzarini

Quanto si consuma e si spreca negli edifici pubblici? Che caldaie si usano? Come sono illuminate le nostre città? Spesso non lo sanno nemmeno gli stessi amministratori. «In molti Comuni trentini ci è capitato di attendere mesi per avere dati sugli impianti di riscaldamento, il numero di punti luce per l?illuminazione, etc.», osserva Maurizio Fauri, della facoltà di Ingegneria dell?università di Trento, presidente della Esco Polo tecnologico dell?energia. Le Esco sono imprese che finanziano e sviluppano progetti per migliorare l?efficienza energetica. Il compenso è calcolato sul rendimento, cioè su quanto risparmierà il cliente. Ricorrere a una Esco può essere un?opportunità per enti pubblici e privati. «Ma spesso manca proprio la conoscenza di questa possibilità. Si deve investire in formazione e informazione», sottolinea l?architetto Gaetano Fasano, dell?Enea – Ente per le nuove tecnologie, l?energia e l?ambiente. «E trovare strumenti per riconoscere e premiare gli enti virtuosi, per prima cosa quantificando il risparmio, facendolo figurare nei bilanci, incentivando le buone pratiche. Invece, nelle scuole comunali ad esempio, il direttore non sa neanche a quanto ammontano le bollette perché è l?economato a occuparsene. Che magari sta dalla parte opposta della città. E allora, perché impegnarsi a eliminare gli sprechi energetici? Il disinteresse riguarda il 99,9% degli amministratori, mentre solo lo 0,1% è sensibile al tema energia». Una centrale ?invisibile? Eppure studi dell?Enea dimostrano che il margine di recupero negli sprechi pubblici è molto alto e porterebbe a un risparmio economico almeno del 25%, l?equivalente della produzione di un paio di centrali termoelettriche di media potenza. Secondo Fasano si deve iniziare da uffici, centri sportivi, scuole. «Dove lo spreco salta più all?occhio, nell?illuminazione artificiale, si può arrivare a una riduzione dei consumi fino al 30%. Poi, evitando di scaldare le aule scolastiche quando non c?è nessuno, si otterrebbe un risparmio del 15 – 20%. E se è vero che manca il personale addetto ai controlli, il problema si può risolvere con sistemi intelligenti remoti, direttamente in contatto con gli assessorati di competenza». In seconda battuta, si potrebbe intervenire anche in musei e ospedali, dove è più difficile e delicato ridurre i consumi, anche per una questione culturale. Le buone (ma poche) pratiche Per ora sono in pochi gli amministratori illuminati ad aver iniziato a lavorare in questo senso. Nel 2003 il Comune di Bressanone ha sostituito 280 lampade a incandescenza dei semafori della città con nuove lampade a diodi led. Il consumo annuo si è ridotto dell?80% e si sono dimezzati i costi di manutenzione, con un risparmio di quasi 11mila euro. La prima città di dimensioni medio grandi ad avviare una ristrutturazione energetica di edifici e illuminazione pubblica è Padova, che nel 2005 ha risparmiato quasi il 50% delle spese, pari a circa un milione e mezzo di euro, di cui 874.700 grazie alla riqualificazione degli impianti di illuminazione pubblica, con sostituzione di armature obsolete e lampade a bassa efficienza. Inoltre 65 caldaie a gasolio sono state rimpiazzate da impianti a gas metano, con un risparmio di 411mila euro all?anno. A cui si aggiungono 29.700 euro grazie a interventi di efficienza energetica (miglior isolamento, sensori di presenza nell?archivio, interruttori a tempo per le lampade dei corridoi) a Palazzo Sarpi, sede di uffici comunali. Il tempo di ritorno degli investimenti è di soli cinque anni. «Eppure non arrivano a dieci, su un totale di più di 80mila, i Comuni italiani che hanno seguito l?esempio di Padova» è l?accusa di Marco Boschini, coordinatore dell?Associazione dei Comuni virtuosi. Che rilancia chiedendo la collaborazione dell?Anci – Associazione nazionale Comuni italiani, per diffondere e replicare nel territorio le buone pratiche a difesa dell?ambiente, che consentono risparmi economici e abbattimento delle emissioni inquinanti. Ma per ora resta quasi una voce nel deserto.


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