“Ci salveremo. Appunti per una riscossa civica” (ed. Garzanti), fresco libro di Ferruccio De Bortoli è libro popolato da persone più ancora che da pensieri astratti. I ragionamenti, che ovviamente ci sono e sono lucidissimi, ma corrono sul filo di nomi e biografie. De Bortoli compone i capitoli del libro inseguendo storie, positive o negative, tutte emblematiche. Significativo l’esergo del libro “Ai tanti che ogni giorno fanno qualcosa per gli altri. Il loro esempio è il nostro futuro”.
Si comincia con Alex Tosolini, ora ai vertici di Kroger colosso americano della grande distribuzione e si finisce con la storia due anziane ebree rifugiate a Trieste racconta da Hans Jonas, a sottolineare che la riscossa verrà anche dai tanti sconosciuti e senza nome di cui la storia non si occuperà. In mezzo le pagine commoventi dei volontari Vidas, l’associazione di cui De Bortoli è presidente.
In un Paese che spende di più per il proprio passato (gli interessi sul debito) che per il proprio futuro (investimenti in scuola e università) non resta che ripartire dalle persone?
Sì, credo che occorre ritrovare la qualità della cittadinanza ripartendo dalla qualità e dalla generosità delle persone. Nella riscossa civica che provo a delineare come cronista e osservatore, non c’è nessuna coloritura politica. Certo, riconosce il declino di questo Paese accellerato in questi 11 mesi di governo pentastellato, ma il tema del libro non è la politica partitica. Il tema è il tanto bene organizzato, le tante comunità piccole e grandi che costituiscono il capitale sociale di questo Paese. Io ogni volta mi stupisco nel vedere che ci sono dei bisogni che sono stati soddisfatti a prescidere dallo Stato. Ed è salutare che sia così perché se, come scrivo nel libro, lo Stato fosse guardato come protettore compassionevole di ognuno di noi, significherebbe che il nostro capitale sociale si è depauperato per stanchezza e umiliazione.
Nel libro sottolinei però come queste energie necessarie e positive fatichino a farsi sistema
È vero, come è vero che faticano a trovare più efficace accountability. Se altrove gli sprechi sono un peccato nel Terzo settore sono un peccato mortale perché non togli un ritorno all’azionista o allo stakeholder ma sottrai un bene che qualcuno ha destinato ad altri. Il fare del bene non esime dall’efficienza nel farlo ma addirittura ti chiede un di più di responsabilità.
Se però vogliamo trovare degli elementi di fiducia e di speranza, una capacità non soltanto di reagire a situazioni emergenziali ma anche di far sì che cresca una coscienza civica e il bene comune possa moltiplicarsi (si parla molto del moltiplicatore degli investimenti in economia ma qual è il moltiplicatore degli investimenti nella socialità?) a me sembra che il Terzo settore sia la piattaforma del riscatto civico. Il terzo settore fa manutenzione del territorio, delle anime, delle persone, dei sentimenti, dei legami. Se ci sono buone relazioni un paese può affrontare qualsiasi emergenza, qualsiasi difficoltà. Se i legami che tengono insieme le comunità sono saldi e manutenuti penso che una riscossa possa e debba avvenire. Senza dimenticarci che nel Terzo settore c’è anche la sperimentazione dell’economia condivisa dell’economia di prossimità.
Un valore che questo Governo pare davvero non voler comprendere…
Con una differenza tra le due forze politiche, io credo. C’è una diffidenza leghista nei confronti del “buonismo” del volontariato, i buonisti sono entrati nei loro slogan “contro”. Così sono contro Bruxelles, contro la finanaza e contro i buonisti come se fossero dei pericolosi criminali. C’è questa idea che nel terreno delle buone azioni ci sia e passino solidarismi irresponsabili o seconde intenzioni. È ovvio che, per stare all’immigrazione, chi fa del bene non sia per l’accogliamoli tutti e per l’invasione, perché è gente responsabile, ma quando cominci a dire che le ong sono taxi del mare, quando le accosti ai trafficanti di uomini, hai gettato sul terzo settore una sorta di sospetto che il loro operato vada contro gli interessi della gente che lavora e fa fatica. Così ong e Terzo settore sono dipinti come roba da ricchi e da radical chic.
Da parte dei 5 Stelle, invece, sono distanti da questo mondo perché sono un’aggregazione di sentimenti individuali, non sono un parto dell’associazionismo italiano, sono cresciuti sulla rete, non hanno un legame con una storia di comunità locali, sono un’infiorescenza di partecipazione individuale. Per loro il Terzo settore fa parte dell’establishment, cioè l’espressione del senso di colpa delle classi dirigenti che attraverso l’associazionismo trovano il modo di restituire qualcosa in modo paternalistico. Due diversi atteggiamenti che si saldano in una non comprensione e in uno sguardo sospettoso, come abbiamo visto.
La Lega e i 5 Stelle incarnano due diversi atteggiamenti che si saldano in una non comprensione e in uno sguardo sospettoso del Terzo settore
In entrambe le forze, però, una cultura neo statalista che impressiona
Lo Stato per loro accorre dove c’è il fallimento del privato, e questo a volte è anche necessario. Soprattutto per loro, solo lo Stato è garanzia di equità e di efficienza, il che oltre a non è assolutamente vero, esprime una visione esattamente all’opposto del principio di sussidiarietà così necessario e riconosciuto anche dalla nostra Costituzione. L’idea che laddove c’è un’iniziativa privata ci sia sempre un’ingiustizia di fondo, un interesse solo privato e una privatizzazione dei vantaggi, e che lo Stato ripari alle diseguaglianze mettendo tutti sullo stesso piano è un’idea non solo sbagliata ma anche irreale. Un solo esempio: guardiamo la retorica sull’acqua come bene pubblico, ma se il pubblico spreca il 40% della potenzialità degli acquedotti, non fa gli investimenti, alza le tariffe e il tutto si risolve nelle prebende ad uno stuolo di personale parapolitico di che parliamo? Così il pubblico va contro il bene pubblico.
I tuoi “Appunti per una riscossa civica” ruotano intorno a nuclei tematici: l’esempio, la competenza, la capacità di sacrificio, la capacità di far memoria, l’importanza delle regole e l’importanza dell’investimento sui giovani. Tra tutti questi nodi qual è il più decisivo?
Noi siamo una società a scarso ricambio e il ricambio lo assicuri solo quando fai delle successioni programmate, questo è un tema serio, quello che sta succedendo è anche il frutto di una mancanza di ricambio negli anni precedenti o di un ricambio fatto con la rottamazione, quindi violento. (vd Capitolo). Anche il Terzo settore ha questo problema, i fondatori non se ne vanno. Esiste un momento in cui il saldo tra i vantaggi della saggezza e dell’esperienza e gli svantaggi di una visione corta e limitata dei mutamenti della società diventa negativo. C’è un limite oltre il quale non bisognerebbe andare.
Poi, noi abbiamo questa ingiustizia nei confronti dei nostri giovani, da noi hanno meno diritti politici degli altri giovani europei in più sono spesso costretti ad andarsene, altri se stanno parcheggiati senza far nulla, i neet, ovvero una discarica di talenti che ci dovrebbe scandalizzare. Uno spreco terribile.
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