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Disagio

Aziende e insegnanti: nella lotta contro le dipendenze c’è bisogno di voi

Dialogo con Enrico Costa, presidente del Ceis Genova che il 6 maggio festeggerà 50 anni di impegno sociale e civile a fianco delle persone con problemi di dipendenze e dei giovani migranti: «La presa in carico deve essere dell'intera comunità, incluso il mondo produttivo. Non possiamo pensare che siano problemi solo sanitari o giudiziari»

di Stefano Arduini

Aveva 23 anni, quando sua mamma Bianca Costa Bozzo, nel 1974 fondò il Ceis Genova (Centro di Solidarietà di Genova). Ma fu nel 2006, quando la fondatrice scomparve, che Enrico Cosa (nella foto di apertura) raccolse il testimone alla guida di una realtà che in mezzo secolo di storia ha accolto e accompagnato circa 6.500 persone con problemi legati alle dipendenze. Sin dalle origini il Ceis Genova si è occupato di promozione umana nel campo della prevenzione, accoglienza, recupero e reinserimento sociale di persone con  problemi di dipendenza (incluso gli interventi specialistici per Aids e co-morbilità psichiatrica) e di  adolescenti con disagio psichiatrico. Negli ultimi anni con l’aumento degli sbarchi dei migranti richiedenti asilo il Centro si è dedicato anche all’accoglienza di adulti e minori non  accompagnati, attraverso l’apertura di oltre 35 strutture dislocate nella Città Metropolitana di  Genova e nel ponente ligure. Oggi il Ceis Genova (in tutto 142 dipendenti a cui si aggiungono diversi collaboratori) è una comunità di sei realtà distinte dal  punto di vista giuridico, nate in tempi diversi e strettamente collegate tra loro da una missione condivisa, quella che sta alla base della filosofia di “Progetto Uomo” ideata da don mario Picchi che in una frase si può riassumere a questo: «Noi guardiamo alla persona, al suo disagio. L’uso di sostanze viene dopo», spiega Costa.

Il prossimo 6 maggio il Ceis Genova presso il Palazzo Ducale del capoluogo ligure celebrerà i 50 anni con un convegno intitolato “Costruire il mondo nuovo: solidarietà, accoglienza, innovazione sociale”.

Presidente soprattutto fra i ragazzi, sta crescendo il consumo di sostanza come raccontiamo nel numero di VITA magazine di aprile: + 10% nell’ultimo anno. Come stanno le cose dal suo osservatorio?

Vedo tre tendenze: vertiginoso abbassamento dell’età dei giovani che abusano di sostanze, alcol e gioco d’azzardo a cui corrisponde un aumento dei comportamenti penalmente rilevanti; una sempre maggiore incidenza delle problematiche psichiatriche; un’opinione pubblica che si arrende alla legittimazione del consumo di sostanze e alcol.

Una volta non era così?

Oggi siamo di fronte a un fenomeno sociale, mentre prima era individuale. Prima la persona che faceva uso di sostanze e incominciava un percorso degenerativo della propria identità lo faceva come scelta personale: ambizione, svago, superamento di un dramma…le ragioni potevano essere tante, ma erano quasi sempre interiori. Oggi si fa uso di sostanze per ragioni sociali, ovvero essere accettati dalla propria comunità e lo si fa con la convinzione che si possa sempre tornare indietro e che in fondo «non faccia poi così male». Anche perché la società di fatto accetta tali comportamenti. Questa “socializzazione” dell’uso di sostanza di riflette anche nella cura. Con un’aggravante: le sostanze oggi sono molto più potenti e quindi prendono il sopravvento sull’uomo.

Bianca Costa, fondatrice del Ceis Genova e madre di Enrico

In che senso?

Oggi non si può pensare che sia la “sanità” o la “giustizia” a farsi carico del problema, ma deve essere l’intera società. Le faccio un parallelo: spesso si parla di sostenibilità ambientale e del fatto che occorra utilizzare energia verde. Questo approccio va esteso al sociale. E quindi alle aziende dico: vanno benissimo le donazioni, ma non basta donare, occorre che vi facciate carico della salute psicofisica delle persone e della loro identità e quindi del loro affrancamento dall’alcol e dalla droga.

Perché un’azienda dovrebbe essere interessate ad occuparsi di questi temi (a meno che, naturalmente, il problema non riguardi uno suo dipendente)?

Per una ragione molto concreta. Il mondo delle aziende si rivolge ai consumatori. Se il mercato è un mercato sano, fiorente e tranquillo, l’azienda cresce. Se il mercato è fatto da persone turbate e dissolute, l’azienda fa molta più fatica a svilupparsi. Così come sul piano ambientale si combatte contro il riscaldamento globale, lo stesso dovrebbe essere fatto per la salute delle persone che non è solo diagnosi o cura, ma è anche l’attenzione all’identità umana e alla libertà anche da droghe e alcol. Le imprese non possono più pensare che l’investimento su prevenzione, cura e reinserimento sia qualcosa che non le riguardi. Su reinserimento si fa pochissimo, sulla prevenzione molto poco. Sulla cura si spende, ma con poco costrutto. I percorsi comunitari sono molto dispendiosi e faticosi, ma se non sono accompagnati da un inserimento effettivo, c’è un forte rischio di ricaduta. Poi c’è un altro aspetto che riguarda le aziende.

Ovvero?

C’è una pressione fortissima da parte del mondo dell’impresa per entrare nel mercato della cannabis legale. Il timore è che si possa realizzare lo stesso meccanismo esploso col gioco d’azzardo legale: lo Stato sostanzialmente lascia che prosperi perché così ci guadagna. Sarebbe gravissimo.

Si stima che solo il 25% delle persone con problemi di dipendenze venga seguito dai servizi. Come lo spiega?

È un tema di risorse: meno dell’1% dei fondi della sanità vengono impiegati su questo fronte. Ci fossero più risorse, prenderemmo in carico più persone.

Sono utili le campagne contro alcol e droga?

Il problema non è parlare di droga. Il tema vero è di rafforzare la spiritualità dei ragazzi (intesa non necessariamente in senso religioso), la capacità di essere responsabili, l’amore per se stessi. L’uomo diventa forte attraverso lo strumento educativo, non perché qualcuno gli ha detto che qualcosa fa male.

Qual è la prima misura che prenderebbe se oggi fosse presidente del Consiglio?

La prima cosa è lavorare sulle scuole. Bisogna ampliare la missione degli insegnanti in modo che siano anche educatori e psicologi. Una buona educazione durante l’infanzia e l’adolescenza è la premessa per una vita più robusta e in grado di difendersi dalle sostanze e dall’alcol. È quella l’età decisiva dove si può fare vera prevenzione. Ripeto purtroppo oggi la maggior parte dell’attenzione e dei budget sono concentrati nell’assistere chi ha già un problema manifesto; è un approccio ambulatoriale e sanitario molto costoso, che non sempre dà i risultati auspicati.

Abbiamo dedicato un’inchiesta al consumo di sostanze, in particolare da parte dei giovani, nel numero di VITA magazine “Droga, apriamo gli occhi”. Se sei abbonata o abbonato a VITA puoi leggerlo subito da qui. E grazie per il supporto che ci dai. Se vuoi leggere il magazine, ricevere i prossimi numeri e accedere a contenuti e funzionalità dedicate, abbonati qui.


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